Nonostante a volte la sceneggiatura pecchi di didascalismi accentuati e di incostanze ritmiche sparse, l’effetto di straniamento tende a funzionare, specie quando ci si immedesima nei volteggi onirici della protagonista. A convincere, in particolare, è l’estremo uso di un approccio visivo tipicamente orientale – inquadrature fisse curatissime nei dettagli; il continuo soffermarsi sugli oggetti; ancora, il cadenzato utilizzo dei silenzi narrativi – che va a contrapporsi con l’occidentalizzazione – al contempo invadente ma desiderata – che impietosa profana una cultura – luce dell’est – che ha ritualizzato la sacralità dell’esistenza. Chissà se i re sotterranei di cui si narra – nell’altro regno della morte (vedi T.S. Elliot) – non stiano combattendo un’infinita guerra contro il sogno dell’oggetto.Antonio Romagnoli
Cemetery of a splendourdi Apichatpong Weerasethakulcon Jenjira Pongpes, Banlop LomnoiThailandia, UK, Germania 2015genere, drammatico, durata, 115’
Ambientato in una piccola realtà della Thailandia, “Cemetery of splendour” racconta di un gruppo di soldati che, colpiti da una non ben definibile malattia del sonno, vengono ricoverati in una scuola elementare abbandonata allestita a mo’ di ospedale. Jenjira Widnes si offrirà volontaria nel prendersi cura dei militari, in particolar modo del giovane Itta, che non ha mai ricevuto visite né da parenti né da chicchessia.
Nonostante a volte la sceneggiatura pecchi di didascalismi accentuati e di incostanze ritmiche sparse, l’effetto di straniamento tende a funzionare, specie quando ci si immedesima nei volteggi onirici della protagonista. A convincere, in particolare, è l’estremo uso di un approccio visivo tipicamente orientale – inquadrature fisse curatissime nei dettagli; il continuo soffermarsi sugli oggetti; ancora, il cadenzato utilizzo dei silenzi narrativi – che va a contrapporsi con l’occidentalizzazione – al contempo invadente ma desiderata – che impietosa profana una cultura – luce dell’est – che ha ritualizzato la sacralità dell’esistenza. Chissà se i re sotterranei di cui si narra – nell’altro regno della morte (vedi T.S. Elliot) – non stiano combattendo un’infinita guerra contro il sogno dell’oggetto.Antonio Romagnoli
Nonostante a volte la sceneggiatura pecchi di didascalismi accentuati e di incostanze ritmiche sparse, l’effetto di straniamento tende a funzionare, specie quando ci si immedesima nei volteggi onirici della protagonista. A convincere, in particolare, è l’estremo uso di un approccio visivo tipicamente orientale – inquadrature fisse curatissime nei dettagli; il continuo soffermarsi sugli oggetti; ancora, il cadenzato utilizzo dei silenzi narrativi – che va a contrapporsi con l’occidentalizzazione – al contempo invadente ma desiderata – che impietosa profana una cultura – luce dell’est – che ha ritualizzato la sacralità dell’esistenza. Chissà se i re sotterranei di cui si narra – nell’altro regno della morte (vedi T.S. Elliot) – non stiano combattendo un’infinita guerra contro il sogno dell’oggetto.Antonio Romagnoli
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