Mi piace un sacco quando vedo un horror che non si perde con uno stucchevole lieto fine. Così vedere che in Outcast addirittura l’amore tra due giovani non è sufficiente a sconfiggere il male è un godimento che solo gli amanti dell’horror possono capire.
Fergal e la madre si trasferiscono in un palazzone popolare alla periferia di Edimburgo.
La donna è evidentemente una strega e cerca con strani e precisi rituali di proteggere la casa ed il figlio da qualcuno.
Per fare questo tiene lontana anche la bella Petronella, che si è innamorata del figlio, corrisposta.
Nel frattempo Cathal li sta cercando per eliminarli… a sua volta utilizzando cruenti rituali a base di piccioni squartati.
Cupo ed inquietante l’horror di Colm McCarthy (scritto col fratello Tom che era in sala).
Stregoneria nel mondo moderno, strani e non spiegati rituali che si adattano alla società moderna, ma una società di periferia, tra palazzoni e gente sfrattata, tra ragazzi disadattati e madri che li abbandonano al loro destino.
Un horror di periferia (che Emanuela Martini arriva a definire “horror proletario, come se a Ken Loach partisse la brocca e si mettesse a parlare di streghe e stregoni”).
Sociale a parte, c’è poi la parte squisitamente horror, con un clima oscuro, di minaccia continua.
Scopriamo pian piano qual è la vicenda ed il finale riesce ancora a riservare una grossa sorpresa.
Bella la sequenza in cui la donna (che Kate Dickie riesce a rendere una presenza obiettivamente inquietante) prepara un controincantesimo, presentato in parallelo con l’incantesimo di Cathal.
Bella la bestia che dal vicolo assale e divora i passanti (simbolo del pericolo che si annida nel classico vicolo di periferia?).
Ma la cosa migliore di Outcast è forse la continua confusione tra buoni e cattivi.
Non c’è un confine, c’è anzi un continuo ribaltamento che ci porta a credere una volta ad uno, una volta all’altro… ed il finale non ci darà la soluzione.
Detto tutto questo… a me… i film sulle streghe non sono mai piaciuti!