Città fenicio-puniche
di Carla Del Vais
Le camere tombali sono molto semplici, costituite da un vano rettangolare posto più in basso del livello del dromos, e a volte c’è un gradino nell’ingresso per favorire la discesa. In qualche caso sono documentati i segni lasciati dai piedi delle bare. A Tharros, recentemente, è stata confermata la presenza di pittura funeraria, simile a quella di Tuvixeddu. Anche a Sant’Antioco e Monte Luna di Senorbì abbiamo trovato tracce di pittura. Essendo applicata direttamente sulla roccia, è difficile trovarne tracce perché è delicata e con il tempo scompare. Dal punto di vista culturale, queste tracce mostrano chiaramente una presenza e una influenza africana dirette.
La necropoli settentrionale, indagata nuovamente dal 2009, si trova distante da quella meridionale, in un’area oggi occupata dall’abitato, ma negli anni Cinquanta era libera. Sono visibili solo alcuni lembi della necropoli e i nuovi scavi hanno documentato ciò che rimane. Dal punto di vista tipologico e cronologico è perfettamente uguale a quella meridionale. Le tombe mostrano, oltre al bancone in roccia scavato, anche un bancone in sabbia che suggerisce una arcaicità maggiore. Il corredo funerario si trova sia sopra che dentro la tomba. Sono stati trovati anche reperti come collane in pasta vitrea e gioielli in metallo prezioso. Lungo la costa ci sono altre tracce e si è scoperto che i tombaroli, per risparmiare lavoro, sono arrivati, in varie tombe, a sfondare direttamente il muro di separazione fra una camera e l’altra, risparmiando il vano d’accesso che, quindi, rimane integro.
A Tharros troviamo numerosi segnacoli funerari, e il sito è classificato come quello che ne ha restituito in numero maggiore, a parte Cartagine. Dovevano essere presenti in tutte le necropoli, ma si sono conservati raramente. Erano posizionati sui coperchi delle tombe, oppure utilizzati direttamente per chiudere le tombe a fossa.
Amuleti, orecchini e bracciali in oro, sigilli e scarabei in pietra dura sono fra i manufatti più importanti. A volte gli scarabei avevano la montatura in oro e raffiguravano simboli religiosi egizi come, ad esempio, il sole. Sul ventre, ossia sul retro, erano riportati i simboli per sigillare i documenti. In Mesopotamia, e altri luoghi nei quali si trovavano regni importanti, i documenti erano sigillati con le cretule, cioè palline di argilla sulle quali veniva impresso il simbolo. Nel mondo punico i documenti utilizzavano un supporto in papiro che poi veniva arrotolato, chiuso con una piccola corda chiusa con una bulla, ossia la pallina di argilla, e su questa veniva impresso il sigillo. Gli scarabei sono tutti differenti e ognuno di essi doveva essere la firma di una persona diversa. Per aprire il documento bisognava spaccare la cretula e il proprietario si sarebbe accorto della violazione del documento. Forse qualche scarabeo era utilizzato come amuleto, ma la quasi totalità era utilizzata per scopi pratici.
I gioielli erano realizzati su una lamina che veniva decorata con la tecnica della filigrana, ossia con minuscoli granelli d’oro saldati sulla superficie a realizzare dei disegni. Serpenti egizi, occhi di Orus e altre iconografie, ci rimandano all’ambito culturale orientale, ma non investono tanto la religiosità, sono probabilmente degli amuleti che dovevano proteggere le persone (bambini, puerpere, madri…) da pericoli specifici e venivano portati nella cintura o nelle vesti. Al museo di Cagliari si trova un bracciale con uno scarabeo quadri-alato, con testa di falco e, ai lati, dei motivi vegetali. Ogni oggetto aveva un valore magico specifico.
La città punica di Tharros non ha lasciato molte tracce perché si trova sotto la città romana. Ha vissuto dall’VIII a.C. fino ad età bizantina. L’abbandono è stato progressivo, ed è sancito definitivamente nel 1071 d.C. dallo spostamento della capitale giudicale e della sede episcopale ad Oristano. Ancora oggi si può notare che a livello del piano di calpestio ci sono rocce affioranti, pertanto sotto non può esserci alcuna struttura. Un elemento di rilievo sono le fortificazioni puniche presso la collina di San Giovanni.
Circondavano completamente la città, passavano sotto la torre di San Giovanni, dove ci sono dei blocchi che si riferiscono ad una struttura preesistente. Dalla torre, le mura scendevano giù con un percorso a cremagliera (a zig zag), e arrivavano a chiudere la città sul lato orientale. La torre, messa in opera utilizzando delle grappe in legno duro a coda di rondine, non si è ancora capito con certezza a quale periodo si riferisca. Al termine degli scavi nella necropoli, si avvierà una campagna proprio nella torre per accertarne la cronologia.
Le fortificazioni sono state scavate da Barreca e dal CNR negli anni Ottanta. Sono costituite da mura nelle quali si notano due fasi di edificazione: punica e romana. Le prime sono databili al V a.C. e hanno subìto una sistemazione in età repubblicana con la costruzione di un muro che determina un fossato, e un paramento murario che si addossa al precedente ed è fornito di porte. In età romana imperiale ci fu un parziale riutilizzo come necropoli perché non c’era bisogno di difendersi e l’area venne dismessa. L’abitato fenicio non è stato mai trovato, forse le due necropoli sono segno di due nuclei abitativi separati, ma l’ipotesi più probabile è che l’abitato si trovasse al centro, sotto quello punico. L’abitato attualmente visibile è di età romana, ma si impiantava su strutture puniche già esistenti. Le tecniche costruttive sono puniche, a suggerire che i romani preferirono mantenere quelle tipologie perché erano architettonicamente affidabili.
Nel 1956 Gennaro Pesce intraprese uno scavo nell’abitato di Tharros. Tutta l’area era coltivata e sfruttata anche dai pastori, ma in pochi anni venne portata alla luce tutta la città. Le cisterne sono puniche e l’approvvigionamento idrico avveniva quasi esclusivamente con l’acqua piovana. Con la pioggia si riempivano le cisterne che garantivano il fabbisogno della comunità. Sono i romani ad introdurre gli acquedotti e lo smaltimento delle acque tramite fogne. Le cisterne a bagnarola, ossia di forma allungata con i lati curvilinei, erano coperte da lastre a doppio spiovente, o semplicemente appoggiate. Nel 1993 è stata scavata una cisterna vicina al tophet, con un tipo di intonaco che corrispondeva alla tecnica più arcaica, al cui interno c’erano materiali bizantini. C’è continuità di utilizzo perché, evidentemente, erano valide e adeguate allo scopo.
Del mondo punico sono rimasti anche i templi, il più importante dei quali è il cosiddetto delle semicolonne doriche. Fortunatamente è conservato nel basamento perché in età augustea è stato distrutto ed è stata fatta una gettata di terra sopra di esso per realizzare una grande piazza. Questo tempio non è costruito, ma risparmiato nella roccia dopo essere stato scavato tutto attorno. Su tre lati del basamento i punici hanno scolpito delle semicolonne di influenza ellenistica. Sopra il basamento doveva esserci una struttura, ma abbiamo perso tutto e non sappiamo ricostruirla, pur se nell’area ci sono tanti elementi architettonici smontati dal tempio e riutilizzati in strutture romane. Nella parte superiore delle colonne dovevano esserci dei capitelli di tipo eolico-cipriota sugli spigoli, mentre sui lati i capitelli erano di tipo dorico. C’erano anche dei leoni, simili a quelli di Sulci, con la coda che si attorciglia sulla coscia dell’animale. Pesce propone che sopra il basamento vi fosse un tempietto a edicola, mentre per Acquaro c’era un altare. In un’altra area ci sono i resti di un tempietto, denominato K, inserito su una struttura romana, che conserva elementi di tradizione egiziana e punici. Nel sito si nota la differenza dei materiali utilizzati dai romani (laterizio) e dai punici (pietra tenera come l’arenaria). I punici non conoscevano il mattone cotto e utilizzavano quello crudo, che purtroppo non si conserva. Barreca nel 1956 individuò un altro tempio che si trova nell’area di Capo San Marco, ben distinta dall’abitato. Si tratta di un edificio costituito da due vani affiancati. In uno troviamo un bancone , mentre l’altro è delimitato da pilastri. Nella parete di fondo c’è un altare su cui era posto un betilo. Oggi si ritiene che questo tempio sia recente, di età ellenistica a cavallo fra IV e III a.C. ed essendo visibile dal mare, pur se posto molto in alto e non si può accedere al tratto costiero, era forse legato ai naviganti o alle divinità marine.
...domani la 3° e ultima parte
Questo scritto è un sunto della relazione presentata dalla D.ssa Carla Del Vais nell'incontro di Tharros, in occasione del 5° appuntamento con la rassegna "Viaggio nella Storia". Si tratta di una mia elaborazione, eseguita trascrivendo le frasi dell'autrice e rendendole fruibili a chi non ha partecipato all'incontro. Mi scuso per eventuali errori, imputabili esclusivamente a mia imperizia nel riportare gli appunti in questo articolo.