The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro, un film di Marc Webb. Con Andrew Garfiels, Emma Stone, Jamie Foxx, Dane DeHaan, Sally Field, Paul Giamatti, Chris Cooper.
Un film assai decororo e riuscito che ha il solo torto di replicare un po’ troppo il format messo a punto nella prima puntata di questo reboot targato Marvel-Sony. Il meglio, ancora una volta, sono Andrew Garfield e Emma Stone e la loro altalenante storia. Arriva come Harry Osborne, nuovo nemico di Spider, uno degli attori più promettenti in circolazione, Dane DeHaan. Voto 7
Avevo gradito di più la prima puntata di questo The Amazing Spider-Man, reboot frutto della collaborazione condominiale di Marvel e Sony Pictures (stavolta la Disney non cè), e però mica son rimasto deluso, anzi. Solo che stavolta il nuovo latita, tutto è decoroso e ben fatto, ma abbastanza prevedibile e replicato dal format già messo a punto precedentemente. Con la conferma che a far da motore narrativo sono più i tormenti del giovane Peter Parker mai certo della missione salvifica del proprio doppio-alter ego Spider-Man, e le loro ricadute sull’altalenante relazione con la tosta e volitiva Gwen, che le imprese mirabolanti del super-eroe. Le quali, per carità, sono in quantità più che sufficiente per ipnotizzare con i loro effetti specialissimi e sbalordenti le platee popcorn globali, e condotte in regia come Dio comanda e senza un attimo di noia e con la dovuta ipercinesi (con predilezione per un hitchockiano senso di vertigine e di abisso), ma non ce la fanno mai a essere davvero il cuore pulsante del film. Editing (di Pietro Scalia) virtuosistico, a alternare e dosare con gran sapienza il lato pubblico dell’uomo-ragno e i suoi (mal)umori privatissimi, in una sorta di complicata rom-com con un lui dalla doppiavita che ogni tanto si mette a volare tra i grattacieli, a stendere le sue ragnatele e combattere il crimine. Con in più, stavolta, un qualche accenno, alla Nolan e il suo Batman, all’ambiguo ruolo dell’eroe un po’ troppo giustiziere privato, variabile indipendente e un po’ impazzita e anarchica in una democrazia che non lo contempla e che prevede, sacrosantemente, solo giustizia mediata e amministrata dalle debite istituzioni. Nessun costituzionalista e giurecosulto – per dirla con una boutade – ha mai immaginato nel balance tra i vari poteri dello stato una figura come Spider-Man, il quale si configura se mai e abbastanza pericolosamente come la proiezione e l’incarnazione di un inconscio (ma neanche tanto) desiderio delle masse a una giustizia spiccia e immediata e non sottoposta ad alcun controllo, freno, esigenza di bilanciamento. Diciamo una pulsione superomistica e autoritaria, che è poi il lato oscuro e inquietante di tutte le saghe eroistiche Marvel et similia. Lato dark di cui solo Christopher Nolan finora si è mostrato consapevole (vedi soprattutto il secondo capitolo della sua trilogia batmaniana) e che qui trapela qualche attimo, per essere subito, e purtroppo, silenziata. Peccato, avrebbe aggiunto profondità a un film che resta parecchio riuscito, ma inesorabilmente all’interno dei recinti del proprio genere di appartenenza e dotato di una mobilità solo surfistica, di superficie, orizzontale, poco o quasi mai verticale. Il meglio del racconto alla fin fine resta il su e giù, lo sfilacciarsi e il riannodarsi continuo di quanto lega Peter Parker a Gwen, anche perché i due interpreti sono perfetti e molto credibili e anche adorabili, e entrambi dotati della stoffa superiore che fa di un attore una star. Andrew Garfield è meraviglioso, riflessivo, mai smargiasso, autoironico, con un’eleganza naturale che spicca pure nella tuta (bruttina) da uomo ragno. In un atletismo quasi danzante. Emma Stone gli tiene testa con una grinta che in certi (certi) momenti mi ha ricordato la giovane Katharine Hepburn delle sophiticated comedies di Cukor e Howard Hawks. Entrano in campo due nuovi cattivi di questa saga-reboot, o per meglio dire due nuovi nemici di Spider-Man, il timido tecnico diventato il divoratore di energia Electro, e Harry Osborne – giovin signore e erede della turpe Oscorp ove si sperimentano e si praticano le peggio cose (ibridazioni chimeriche tra uomini e animali, e altro) -, che da amico fraterno di Parker si trasforma in Green Goblin, feroce antagonista di Spider. Il primo consente le scene di massima spettacolarità e tensione, anche elettrica ovvio, con le mille luci di New York risucchiate e mangiate dal suo possente corpo-macchina (e il duello in Times Square è tra i climax del film), ma è il secondo a rubare davvero la scena. Merito di Dane DeHaan e del suo faccino da efebico Rimbaud pure un attimo debosciato, ormai specializzato dopo Chronicle, Come un tuono e Kill Your Darlings in ruoli di assoluta doppiezza e ambiguità. Diventato malvagio, Harry Osborne, dopo essersi inoculato (o ingerito? scusate ma non ricordo esattamente) un siero che avrebbe dovuto salvarlo da una implacabile malattia e che invece lo trasforma in mostro. Un personaggio parecchio stratificato e intensamente drammatico cui DeHaan, uno degli attori oggi da tenere d’occhio, aggiunge di suo un senso di fragilità, di desolazione, di acuta coscienza della propria finitudine. Se solo sceneggiatori, produttori, regista avesssero spinto un po’ più in là i confini del genere, se solo si fosse data più intensità e importanza a tracce narrative qui appena accennate come quella di Spider eroe popolar-populista, ne sarebbe uscito qualcosa di simile alla trilogia nolaniana di Batman, finora il vertice di ogni supereroismo al cinema. Così abbiamo un decorosissimo film un po’ troppo prevedibile. Onore a Sally Field, strepitosa come zia proletaria di Peter. È dai tempi di Norma Rae che i personaggi working class le riescono benissimo.