L'appartamento - questo spazio in cui appartarsi, rimanendo parte di un sistema - è la storia di frenetici inseguimenti sentimentali e lavorativi. Col suo consueto ritmo brioso, con l'estro che gli è consueto, Billy Wilder costruisce una commedia amara, di una tenerezza a tratti lacerante, aggiungendo i tristi tocchi di ben conosce la vita della grande metropoli e il senso di profonda solitudine a cui costringe. Segugi di felicità, uomini e donne sulle loro piste in questa girandola ariostesca di illusioni e disinganni, resistono a tutto tranne che ai loro sogni e perdono il senno a ogni fase lunare, ma poi la luna scompare e nessuno potrà trovare quel bene e quel sogno.
Recitato come sempre magnificamente, The Apartment (1960) è un film che è gioia vedere e rivedere. Nonostante le occasioni di malinconia e di tristezza (che lega questo titolo a The Fortune Cookie, sempre con Jack Lemmon), si resta incantati dalla maestria di un maestro che ha pochi eguali nel fare del cinema uno spettacolo d'intrattenimento garbatissimo e pieno d'intelligenza. La capacità di Billy Wilder di raccontare storie è straordinaria: il regista e sceneggiatore non si sofferma mai su una dimensione intimistica o su una mera biografia.
Gratificarsi, non vivere. La semplicità un po' sognante di C.C. e Fran in questo mondo in bianco e nero per grazia più che per necessità tecnica ha dell'incredibile e dell'ingenuo, ma rappresenta un toccasana nel cinismo di un'azienda enorme, dispersiva, dove la statistica e i dati si sostituiscono alla narrativa delle singole, dolorose vite. Non so quanto Billy Wilder volesse rappresentare uno spaccato di una società in crisi: quando vedo i suoi film, ho sempre l'impressione di storie così attuali e, a loro modo, vere, che di necessità restituiscono la realtà a cui fanno riferimento. Questi non sono film-denuncia, ma denunciano un costume; non sono film psicologici, ma ci restituiscono delle anime nel ramo della vita, ciascuno con la parte che gli spetta.