George Valentin (Jean Dujardin) è una star del cinema muto che nel 1929, quando il Sonoro farà la sua comparsa, diffidente sulla nuova tecnologia ed orgoglioso del suo stile, non vorrà farne parte firmando così il suo declino, al quale concorrerà la "Grande depressione" per il crack di Wall Street, portandolo alla rovina. Destino opposto invece per la giovane Peppy Miller (Bérénice Béjo), sua scoperta e attrice alla quale arriderà ogni successo possibile ad Hollywood. Tra loro c'è anche amore, che però non può avere sbocchi senza che si esprima anche nella professione...
Drammatico e commedia, con momenti veramente esilaranti ed altri romantici e commoventi (la scena in cui Peppy abbraccia il frac sul manichino è da sciogliersi sulla poltrona), ci riporta ad apprezzare l'essenza del Cinema in un periodo nel quale ci stiamo tutti chiedendo, quelli che amano la Settima Arte, dove il 3D o il futuro 4D ci porteranno. La sensazione che ci sia uno svuotamento dei contenuti a favore quasi esclusivo di spettacolarizzazioni un po' fini a sé stesse ci rende ritrosi. Anche allora sarà successa la stessa cosa e quell'anno, quel momento di passaggio che fu rivoluzione, ci aiuta a ricordare (ovvio ma è bello vederlo) che al solito non è la tecnologia che porta in sé progresso o regresso (artistico, in questo contesto) ma l'uso che se ne fa. "The Artist" premia il cinema muto come quello sonoro, e lo fa calandosi nel primo rispettandone stile e modalità, con le recitazioni fortemente espressive su tutte. Persino il simpaticissimo cane di Valentin (credo un jack russell), d'una bravura sconcertante e tra i personaggi che più si ricorderanno al termine della visione, pare rispettare questo canone.
Nessuno oggi credo, se ha un po' di buon senso, rifiuta le nuove tecniche di ripresa e proiezione citate. Nessuno vuole finire, come capiterà in uno dei momenti più significativi a Valentin, con l'essere il solo "muto" in un mondo pieno di suoni. Da parte vostra, cineasti e cineproduttori, ricordate sempre che il Cinema è sì un'arte popolare ma non per questo stupida, anzi è vero il contrario, e raggiunge le sue vette quando non dimentica che deve raccontare delle storie belle, interessanti, con grandi recitazioni. Docu-fiction a parte, gli attori in carne ed ossa sono ancora la spina dorsale di ogni opera, nei quali noi spettatori ci vogliamo immedesimare, identificare.
Grande accoglienza a Cannes, mentre scrivo è il film con più candidature ai Golden Globes. Moderne pur nella "anticatura" le recitazioni dei due protagonisti. Jean Dujardin e Bérénice Béjo sono notevoli in tutto, anche nel danzare. Ci sono poi altre partecipazioni di pregio come quella di John Goodman, James Cromwell, un cameo di Malcom McDowell, ed altri.
E' con grande piacere che metto nell'Olimpo un film del 2011.
Nelle sale in questi giorni, è uscito a Milano in soli 4 cinema ed in sala, giovedì scorso, eravamo meno di 30 persone. Forse il pubblico si spaventa a pensare ad un film muto, forse lo ritiene un esercizio "intellettuale" o di stile, per "cinefili". Niente di più sbagliato, è un film bellissimo e per tutti.
Correre a vederlo! Col grande schermo ha una resa grandiosa e ci si sente più vicini agli spettatori di una volta. Ci vorrebbe qualcuno a riprendere il pubblico di adesso, anche se son pochi. Le facce son quelle, tendono a emulare quelle degli attori, ridono, ci scappa un rossore, forse anche una lacrimuccia. Personalmente non disprezzerò mai Il Mezzo, solo che terrò il fuoco sempre su Il Fine. Inventatevi anche il 10D olografico-sensorial-polipercettivo-positronico, nessun problema, ma in fondo noi spettatori siamo e resteremo gli stessi, "banali", esseri umani di sempre, o no?
Robydick
p.s.: i frame sono tutti "rapinati" nel web.