Sa dell'incredibile decidere di girare un film muto e in bianco e nero del 2011. Eppure c'è chi come Michel Hazanivicious (tra i film precedenti "Oss 117" commedia sulle gesta di Hubert Bonisseur de la Bath, fantomatica "miglior spia francese") ha pensato di farlo. Anacronistico? Geniale? Folle? Indubbiamente spiazzante, ma piacevolmente spiazzante. "The artist" è un bellissimo film. Racconta il cinema in un momento delicato della sua storia: il passaggio dal muto al sonoro. Siamo a cavallo degli anni Trenta, in piena crisi economica mondiale. George Valentin (il bravo Jean Dujardin, che metamorfosi da quando recitava nella sitcom "Un gars, une fille", la versione francese di "Love Bugs"), divo del cinema muto, non intuisce il potenziale del sonoro nei film e rimane fuori dalla rivoluzione tecnologica che cambierà la Settima arte. Alla sua discesa negli inferi, che culminerà in vere e proprie fiamme, fa da contraltare il sogno di Peppy Miller che da ultima ballerina nei titoli di coda, esplode come stella del cinema. La trama ricorda a tratti "Cantando sotto la pioggia" (altro film che affronta lo storico passaggio al sonoro) e "Viale del tramonto" (per il richiamo al declino di una star del cinema), ma ha comunque una sua identità. Le vite dei due protagonisti si intrecciano in questo passaggio di epoca che molto sembra volerci dire dei nostri tempi. O almeno è così che l'ho inteso. La crisi economica e le incertezze sul futuro accomunano le due epoche, così come le novità tecnologiche nel cinema. Allora il passaggio al sonoro, oggi l'avvento del 3D che ha, si, riportato più persone nelle sale, ma che ancora deve fare la differenza. Tuttavia lo sconvolgimento c'è ed è un fatto che ci si interroghi sulle potenzialità espressive ulteriori che lo strumento comporta e comporterà. Volgere quindi lo sguardo verso il passato può essere un modo per parlare del presente? Forse c'è anche questo nelle intenzioni del regista che ha girato il film come un vero e proprio muto, con tanto di didascalie che aiutano il pubblico a capire i "dialoghi" tra i personaggi. Le trovate di messa in scena non mancano. L'assenza di sonoro e l'accompagnamento musicale possono all'inizio destabilizzare lo spettatore disabituato a non sentire rumori, voci, effetti nel corso di una proiezione. Poi però ci si abbandona con grande facilità alla storia raccontata con le sole immagini in movimento e qui si realizza la magia dell'opera stessa e del cinema di conseguenza cosa che, chissà, in questi tempi di bombardamento visivo disordinato, eccessivo e quasi mai eccelso, fa bene. Hazanivicious usa gli "stratagemmi" classici per attrarre l'occhio dello spettatore, costruendo con coscienza l''inquadratura, prestando attenzione notevole al lavoro di montaggio (non a caso è tra i montatori del film), dirigendo un ottimo cast. La recitazione è, in particolare, asciutta ma intensa. Non ci sono moine o smorfie di troppo, ma un solido lavoro di costruzione dei personaggi. E non è poco. Senza dialoghi e suoni, sarebbe stato facile scadere in stili di recitazione al limite della macchietta. Ma questo non avviene e si spiega il meritato successo che sta investendo tanto Dujardin (premiato all'ultimo Festival di Cannes) quanto la splendida Bérénice Béjo.C'è poi un cagnolino che vi farà impazzire.
ps. Le sale a Napoli che proiettano "The artist" sono tre. L'ho visto nella più piccola delle sale di un multisala, circa 25 posti e uno schermo piuttosto piccolo...un peccato per un film che fa delle immagini la sua forza.