Da "Iron-Man 3" in poi infatti la musica ha iniziato a suonare diversamente, imponendo maggior cura nella scrittura delle sceneggiature, mantenendo salda la parvenza di un progetto tramite quei famosi fatti di New York - avvenuti nel primo "The Avengers" - e concedendosi a momenti di introspezione affascinanti e necessari che restituivano umanità a dei super-eroi così leggendari.
Fa strano allora rendersi conto che il fautore di tutto questo, il Padrino della macchina che finalmente cominciava a girare alla perfezione, in "The Avengers: Age Of Ultron" scavalca le responsabilità assunte con il primo capitolo e manca l'affondo indispensabile per guadagnare ulteriore quota. Nel momento in cui tutti quanti aspettavano da lui il suo colpo migliore, Joss Whedon risponde proponendo al pubblico gli stessi temi e uno spettacolo gonfiato in maniera sovrumana che sfocia in alcuni momenti persino in un troppo che mai avremmo pensato di denunciargli. Prime donne incapaci di condividere la stessa stanza e cattivi a primo impatto imbattibili, ma riducibili a mucchio di brandelli e poco più con la consueta forza dell'unione. Un prodotto di intrattenimento confezionato secondo le regole della classe migliore eppure in leggera controtendenza con la preparazione che Shane Black era stato ingaggiato per intraprendere e inaugurare.
Una grinza che da la percezione però di non essere stata né voluta e né selezionata, ma semmai conseguenza di una bussola perduta o danneggiata in fase di scrittura. A dircelo sono proprio gli indizi che vedono la creazione della nemesi metallica di Tony Stark - l'Ultron del titolo - non gestita a dovere e sprecata nei passaggi in cui la loro uguaglianza di pensiero e di carattere sarebbe dovuta venir fuori e dare spinta maggiore al contesto. Il lato oscuro del personaggio di Robert Downey Jr. viene quindi innescato, motivato dalla sua matrice scientifica, e poi in seguito arenato da una trama povera di ossigeno, costretta a non avere pause di ricarica e a soffrire sia nel dispiegamento che nello scopo.
Non fa alcun passo in avanti insomma "The Avengers: Age Of Ultron" né sotto l'aspetto creativo e né sotto quello dei fatti. Tutto resta uguale a come era prima che gli eventi della pellicola si scatenassero, lasciando in bocca quel sapore di amaro da tempo dimenticato. Che nelle sue intenzioni ci fosse tuttavia la volontà di dare giustizia al lavoro di Black è intravedibile in quelle poche parentesi - le migliori - che Whedon concede ai personaggi più in ombra trattati fin'ora, ovvero i mancanti di film dedicati come Hulk, Vedova Nera, ma soprattutto Occhio di Falco. Il personaggio di Jeremy Renner è quello che in assoluto esce più rafforzato e compiuto rispetto a ognuno dei suoi compagni, finalmente omaggiato del giusto spazio e sviscerato del reale valore che giustifica la sua presenza all'interno del gruppo, insieme alla parentesi della sua vita privata segretissima e sorprendente.
Va a chiudere la cosiddetta fase due in maniera inaspettata e un po' deludente pertanto Whedon, distruggendo - ed è un'altra ripetizione - l'ennesima città seppur stavolta senza alcuna possibilità di ricostruzione. Andando avanti di questo passo il rischio è che nel terzo capitolo della saga (che sarà diviso in due parti), per convincere il gusto degli adepti, si debba andare ad inventare chissà che cosa, perdendo poi di vista ulteriormente umanità e conflitti interni delle grandi stelle che ne fanno parte.
Ed è per questo che la speranza resta quella di rivedere presto in giro la cura Shane Black, rispolverata dal quartier generale Marvel e obbligata in una terza fase magari, si scoppiettante, ma non solo nel vero senso della parola.
Fermo restando che se Whedon per "The Avengers" abbia in mente di far sciogliere e riunire il gruppo ogni volta, concludendo poi a ripetizione il suo lavoro in un disaster-movie, sarebbe meglio che si facesse da parte come lui stesso ha accennato nel corso delle sue ultime interviste.
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