Tra found footage e denuncia ambientale, Levinson (regista di Rain Man) cambia radicalmente registro, ma il risultato è un mockumentary instabile, composto principalmente da immagini in low definition.
4 Luglio 2009. Claridge, contea di Chesapeake. Si sta festeggiando l’indipendenza e la città si è riversata sul molo per assistere a fuochi d’artificio e gare gastronomiche. Contemporaneamente una troupe sta riprendendo tutto e davanti alla telecamera c’è Donna, giovane reporter in erba. Durante i festeggiamenti però avviene qualcosa di strano: una signora è coperta di pustole e chiede aiuto, mentre la gara gastronomica si interrompe a causa di un collettivo conato di vomito. Il terrore arriva dall’acqua, gravata da un alto livello di tossicità. Tutto questo ci viene raccontato dalla stessa Donna Thompson tre anni dopo via Skype.
Horror angosciante e inquieto, The Bay in realtà ha tutt’altro interesse. Difatti se l’impianto narrativo e stilistico ricalca l’ibrida rappresentazione figlia di The Blair Wich Project e delle più recenti prove della saga Paranormal Activity, il messaggio si discosta volontariamente dalle immagini (a tratti raccapriccianti) e si insinua sotto-pelle, per poi palesarsi prepotentemente nelle sequenze conclusive. Levinson mette in allarme sulle politiche ambientali, sull’inquinamento (e nello specifico si tratta di escrementi di polli di allevamento versati in quantità industriale nella baia di Chesapeake) sugli imprevedibili effetti distruttivi (proliferazione di allergie e batteri) che il sopracitato inquinamento ambientale può portare. The Bay, aggiungendo mala-gestione amministrativa (il rifiuto interventista da parte del sindaco della piccola cittadina di Claridge e il successivo silenzio mediatico ricordano tanto la sottovalutazione del problema da parte del primo cittadino ne Lo squalo di Spielberg) e governativa (anche il governo degli Stati Uniti fa la sua “sporca” parte), porta agli eccessi l’esponenziale crescita di un batterio carnivoro, che si insinua nel corpo dei pesci divorandoli dall’interno per poi passare velocemente all’attacco dell’uomo. Purtroppo però Levison non cattura l’attenzione dello spettatore, che non si sente avvicinato dalla tematica trattata, anzi piuttosto si sente invaso da una sequela di immagini disgustose e catastrofiche, che appiattiscono The Bay al livello di un horror dal basso budget e dalle basse pretese. Anche la scelta di affidarsi a un cast praticamente sconosciuto ai red carpet non aiuta e conferma l’ipotesi dello spettatore seduto in sala.
Skype, iPhone, telecamere di sicurezza e materiale di repertorio. Di questo si compone The Bay, pellicola che vuole rendere la finzione il più verosimile possibile, documentando la vicenda e istituendo come figura positiva e paladina della verità, la giovane Donna Thompson, neo-reporter di un canale televisivo on-demand e on-web, che armata di buonsenso civico e morale racconta tutta la storia tre anni dopo gli avvenimenti. Una moderna Erin Brockovich, ma dotata di minor sex appeal, presenza scenica ed esperienza. Levinson accatasta corpi all’interno di un ospedale o sulle strade principali di Claridge e il rischio che il film scada e scivoli lungo la buia china del genere di serie Z c’è. Levinson riesce a risollevarsi verso la conclusione dando in pasto al pubblico una distesa di pesci morti e una triste condanna nei confronti delle autorità governative, che hanno preferito ridurre al silenzio una storia sicuramente votata agli eccessi, ma che si avvicina pericolosamente ad avvenimenti recenti.
Tuttavia The Bay non convince e si fa specchio (distorto) di un genere (quello del found footage) che ultimamente è, aggressivamente, inflazionato. Difatti il sovra-sfruttamento di immagini recuperate e dalla bassa definizione crea una sensazione di stanchezza (cinematografica) diffusa. Ormai non provoca più ansietà ed empatia, ma solamente noia e qualche sparuto sobbalzo sul sedile.
Uscita al cinema: 6 giugno 2013
Voto: **
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