The Chimes by Anna Smaill

Creato il 04 gennaio 2016 da Anncleire @anncleire

‘They are afraid of these things,’ I say, ‘because they are afraid of dischord.’

“The Chimes” è entrato nelle cose da leggere per due motivi, anzi tre. Innanzitutto mi sono letteralmente innamorata della cover (it’s so beautiful!), era uno dei candidati per il Man Booker Prize di quest’anno e mi aveva incuriosita parecchio, è una distopia dal sapore nuovo, quello musicale, che ancora non avevo toccato. Per di più la scrittrice, Anna Smaill, è una poetessa neozelandese, al suo esordio con la prosa. Le premesse per un bel libro c’erano tutte, e infatti ne sono rimasta affascinata. Il problema principale, per me, è stato il lessico, molto specialistico rispetto all’ambito musicale e quindi di comprensione abbastanza difficile. Una storia veramente affascinante che spero traducano presto in italiano.

È ambientato in una Londra immaginaria, in un mondo dove le persone non possono formare nuovi ricordi e la parola scritta è stata proibita e distrutta. In assenza sia dei ricordi che della scrittura c’è la musica. In un mondo dove il passato è un mistero, ogni nuovo giorno sembra uguale a quello appena trascorso, e prima che sia una blasfemia tutto appare perduto. Ma Simon Wythern, un giovane che arriva a Londra cercando la verità su quello che è davvero accaduto ai suoi genitori, scopre di avere un potere che potrebbe cambiare tutto per sempre.

A volte si resta scioccati di fronte alle possibilità dell’intelletto umano. Immaginatevi la possibilità di modificare il corso delle azioni umane attraverso una nenia continua che intacca gli impulsi cerebrali e ancora non riuscirete a visualizzare la potenza del mondo distopico creato dalla Smaill. Un mondo in cui il passato non esiste, ogni giorno si proietta in avanti solo attraverso la memoria muscolare, che spinge in avanti i suoi cittadini trascinati da una setta che venera l’udito e la musica con la potenza insperata di strumenti e voci. Comporre, suonare, memorizzare, in un ciclo continuo e perfetto, interrotto solo dalle anomalie. E inizialmente è difficile seguire la trama, si inciampa nella consapevolezza di non capire la successione degli eventi, la percezione di un’atmosfera quasi onirica che si frange, ripetutamente con la consapevolezza che un senso ci sia. Il protagonista e voce narrante è Simon, che arrivato bruscamente a Londra, cerca di trovare una sua dimensione, mentre i suoi ricordi sfumano. Simon è un ragazzino spaventato, che all’improvviso si ritrova in un gruppo senza capire bene come, una quotidianità costruita con piccoli gesti sempre uguali, che si ripetono, un ragazzino intuitivo, capace e generoso, che rimane invischiato in qualcosa di più grande di lui. Perché il capo del suo gruppo, Lucien, gli svela i segreti che si nascondono dietro quella società apparentemente perfetta, dietro la cerchia austera di sacerdoti dediti alla contemplazione della musica. Una società scandita da momenti ben precisi, in cui la melodia emessa da un immenso carillon risuona per tutto il paese, catalizzando l’attenzione, cancellando ogni pensiero cosciente, cancellando la storia, le scelte, le emozioni. Un controllo ferreo che brucia a contatto con una realtà distorta, in un mondo controllato, imbrigliato, memore di giornate sconvolgenti che hanno distrutto la pace di una comunità. Lucien, che appare come una guida, un fulgido esempio da seguire, non è esente da colpe, misterioso e pieno di segreti, è come una galleria da scoprire, un labirinto al cui interno veniamo a conoscere lo stato reale delle cose, in cui prendiamo la consapevolezza che c’è qualcosa che  non va, che Simon non è come tutti gli altri. Inizia allora una corsa, una caccia ai frammenti di passato che devono essere salvati, quella percezione insaziabile di conoscenza, un percorso tortuoso che li porterà fuori Londra, per le strade di Oxford, in uno sforzo consapevole di ribellione, in un percorso di avvicinamento. Una gara ad ostacoli.

‘Meditation is a form of hearing,’ Lucien is saying. ‘A heightened form. You clear your head of all thoughts. When the music comes, you try to see it shining between your eyes. Like threads stretched taut and the notes as coloured beads threaded on. When you get very good, it’s as if you can see inside the music, through it. You bring the music alive, bring it into being. As if you’re the one composing.’

Lo stile della Smaill è sontuoso e pieno di tecnicismi, e rispecchia una storia ad ampio respiro, che si  erge dalle pagine per convogliare un’impressione di irrealtà. Il classico avvertimento da dittatura distopica e un impianto che vola, che si mescola ad accordi armonici, un flusso costante di descrizioni superbe e una svolta romantica che non avrei mai, mai  immaginato, e che è così dolce, così suadente, da avermi lasciato spiazzata. Non c’è niente di semplice in questo libro, che presenta molteplici chiavi di lettura e che va goduto appieno, fantasticando e ascoltando, immergendosi in un’atmosfera ricca e cordiale, rilassante e impetuosa, un contrasto che non si spegne, una lotta continua,  uno sforzo teso a non perdere di vista sé stessi, il proprio io intrinseco, un continuo tendere alla perfezione, e la musica usata per muoversi, orientarsi, per vivere. Penso di non riuscire ad avere i mezzi per convogliare la bellezza di questa storia, né per riassumerla appieno, bisogna solo leggerla.

Il particolare da non dimenticare? Una candela…

 

Una distopia dal forte potere evocativo, permeata di note, di armonie, un inno alla diversità e alla ricerca della verità. Il potere descrittivo della Smaill è talmente forte da far risuonare nella mente il carillon che descrive, in una girandola di sentimenti purissimi e un’incertezza tale che rende necessario staccarsi dalle pagine per non perdersi. Bello, davvero.

Buona lettura guys!


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