L'ultimo film di Robert Redford comincia da qui, ma non per raccontarci la biografia di Lincoln, come si potrebbe supporre, bensì per far luce su una vicenda 'oscura' e quasi dimenticata dai libri di storia: quella di Mary Surratt, vale a dire la proprietaria della pensione dove Booth e gli altri 'cospiratori' si riunivano per definire i loro piani terroristici. La donna viene arrestata e incarcerata per favoreggiamento, oltre ad essere esposta al pubblico ludibrio in quanto responsabile di aver coperto i fautori dell'attentato. Perfino il difensore d'ufficio, il giovane avvocato Frederick Aiken, è totalmente convinto della sua colpevolezza, tanto da considerare come un'offesa verso la sua persona e la sua carriera il dover prendere le difese di chi si è macchiato di un simile reato.
Robert Redford, coerente con le sue ormai celeberrime idee 'liberal-democratiche', mette in scena un film dallo stampo splendidamente 'classico', stile cinema d'inchiesta anni '70, forse un po' ingenuo e stereotipato in certe situazioni, ma onesto e 'sanguigno' nella fattura. Ed è fin troppo evidente leggere in questa pellicola una chiara e netta presa di posizione verso il sistema giudiziario americano, paragonandolo a quello attuale. Gli interrogativi che pone Redford sono noti: è giusto, in nome della sicurezza nazionale, sacrificare in parte i propri diritti e la propria libertà? E' giusto che per scongiurare una ribellione la giustizia venga piegata alla 'ragion di stato'? E' normale che chi detiene il Potere si faccia leggi a proprio uso e consumo, senza che nessuno eserciti alcun controllo?
Il film, come detto, è bello e coinvolgente. Un legal-movie di respiro antico, interpretato da attori stupendi: da Robin Wright, mai così brava, a James McAvoy, Tom Wilkinson, Evan Rachel Wood, e un soprendente Kevin Kline, davvero a suo agio nei panni, per lui insoliti, di 'cattivo'. Bello anche il finale, che non sveliamo, ma dove una didascalia ci avverte che l'avvocato Aiken, dopo la conclusione del caso-Surratt, abbandonerà la toga per diventare giornalista: esattamente il primo cronista del neonato 'Washington Post'... come dire, gli 'Uomini del Presidente' sono avvertiti.
VOTO: * * * *