E' questa dinamica infatti il cuore su cui il regista Tom Hooper intende cucire elegantemente la sua pellicola, motorizzata per emettere battito da un Alicia Vikander intensa e strepitosa, sostenuta senz'altro da un personaggio oltremodo generoso e innamorato, ma anche da quella che, probabilmente, ad oggi, è la sua migliore interpretazione in assoluto. Sono per lei e per il suo viso fanciullesco gli occhi, dunque, per quella reazione comprensiva e paziente con cui asseconda un marito confuso e sconvolto dal ritorno di quell'entità femminile con cui in passato aveva già cominciato a fare i conti, entità di cui lei però non era mai stata al corrente, risvegliata repentinamente da un gioco di travestimento innocuo - tra l'altro di sua invenzione - con cui ingannare gli invitati indiscreti dell'ennesima e noiosa cena di gala. La sua reazione preoccupata, eppure contemporaneamente umana, permette a "The Danish Girl" di non sopperire sotto le faccette e la metamorfosi non irresistibile di un Eddie Redmayne a tratti sopra le righe, a suo agio negli atteggiamenti e nelle movenze delicatamente femminili, ma assai meno quando è il turno di trasmettere e suscitare emozioni. Non è un caso, del resto, che i pochi brividi e i pochi lampi di commozione arrivino quando il suo Einar/Lili sia fuorigioco, quando a dominare la scena o a prenderla per mano, insomma, c'è la sua controparte, nonché moglie, Gerda.
Con l'attitudine a rimanere innocuo sotto tanti punti di vista, quindi, il film di Hooper schiva le trappole e, pur con una serie di difetti evidenti, mantiene la schiena dritta. Non da mai l'impressione di potersi permettere chissà quali movimenti bruschi, ma mettendo il peso dalla parte giusta, cioè da quella della Vikander, si salva da un possibile crack e accontenta trasversalmente un pubblico non pretenziosissimo.
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