Strane epifanie: ascoltavo questa canzone, per motivi che con questo articolo non c'entrano nulla. O quasi.
Il titolo è The World inside your eyes.
Il mondo nei tuoi occhi.
Ho ricordato innanzitutto Pavese: verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Singolare scelta musicale, per un film sui morti viventi.
Questa associazione mentale tra morte, sguardo e un mondo devastato dalla pandemia è fertile, tuttavia.
Poi mi son detto che lo zombie è archetipo. Possiede in sé caratteristiche determinanti: icona, simbolo, paura, angoscia, persino frustrazione repressa.
Anche se, permettendomi un commento da profano, ci sono morti che risorgono da almeno duemila anni, con quella buona sagoma di Lazzaro, richiamato a soffrire su questa terra da Gesù.
E noi tutti, lì, a desiderare che la stessa cosa, risorgere, possa capitare anche a noi. Forse. Forse no.
La figura dello zombie, mito sociale, satira politica, specchio del consumismo, della mercificazione, cambia col cambiare della sensibilità coeva.
Se ci soffermiamo su questo aspetto, la metamorfosi dello zombie, la cosa non deve stupire. Ciò che negli anni sessanta era, per volontà di Romero, esempio estremo di denuncia sociale, ovvero il corpo di Ben (Duane Jones), trascinato all'esterno della casa, dopo La Notte dei Morti viventi (1968), con l'ausilio di ganci da macellaio, da bianchi - immaginate la forza di quell'immagine all'epoca - oggi è solo una delle tante atrocità. O forse nemmeno tanto atroce, considerando che c'è gente che viene decapitata da tipi incappucciati e vestiti di nero, più o meno ogni giorno, su YouTube, indipendentemente dal colore della pelle.
O forse, come disse Romero, erano solo zombie.
Il problema è un virus incurabile che fa resuscitare i morti. E la loro fame atavica è, visto che non hanno stomaco, solo una disfunzione ormonale. O, più filosoficamente, un istinto.
Ancora un decennio.
La specie umana è caduta sotto i colpi della sua stessa idiozia.
A salvare baracca e burattini ci pensa il maschio alfa: un militare gretto e arrogante, cieco e stolto, che malmena un gruppo di scienziati che, alla bene e meglio, stanno continuando a studiare il fenomeno.
Ma tutto ciò è snervante, per l'uomo con la doppia pistola da cowboy, il militare cazzuto. Nel bunker, assediati all'esterno da un mondo che non compete più agli esseri umani, non c'è niente di peggio che l'attesa.
Insomma, la minaccia per la specie umana non è tanto il simbolo della sua dannazione, lo zombie, quanto se stessa. Lo zombie è percepito come una sorta di passaggio.
Ora sono loro, in rapporto di circa, vado a memoria, cinquecentomila contro uno, a comandare. Hanno vinto. Il mondo, schiacciato sotto intere biblioteche di stupide leggi, è crollato.
Dopo la parentesi comica, e tuttavia intrigante dei vari Ritorni dei Morti Viventi, degni di interesse ché, come in una nuova favola di Oz, i morti cercano il cervello proprio in coloro che di cervello funzionante ne hanno proprio poco... si passa al contagio della rabbia di Danny Boyle, coi non-ancora-morti che ti inseguono e ti fottono, mandando il mondo a gambe all'aria in soli 28 giorni.
Quel capolavoro al contrario che è The Walking Dead liquida la questione scientifica con una serie di lucette rosse e blu che s'accendono nel cranio di un cadavere sottoposto a sperimentazione. Sono lucette rosse, quelle degli zombie, quindi sono cattivi. Meglio concentrarsi sugli scampoli di umanità varia che, per caso, sono sopravvissuti.
Inondando la TV di banalità assortite, il gruppo di umani sotto le lenti del microscopio televisivo inscena psicodrammi infiniti, su un contorno di morti viventi, che sono stati svuotati di tutto il loro contenuto simbolico fin qui esaminato, per essere riassorbiti, che è la cosa più atroce, dal quotidiano.
Lo zombie è normale, come che so, uno sciame di mosche.
Che "l'umanità abbia bisogno di Rick" è tanto arbitrario, figlio di una pessima e limitata sceneggiatura, quanto dozzinale e privo di fantasia, visti i risultati ottenuti dal medesimo in cinque stagioni: nulla di nulla. Non è riuscito manco a coltivare un paio di zucchine.
Ciò che di pessimo c'è, in questa coeva raffigurazione dei morti viventi, è l'assoluta incapacità di immaginare gli esseri umani come una specie intelligente e creativa, capace di organizzazione e di reazione. Una visione che va oltre il pessimismo cosmico, e che sa di piccoli, meschini egoismi e di sfiducia atavica. Per riassumere, gli esseri umani sono un gregge che abbisogna del pastore, per sopravvivere ai lupi (che dovrebbero essere gli zombie). Fuor di metafora: l'uomo medio è un incapace indegno e sopravvive grazie a pochi e forti illuminati.
E il fatto che abbiamo, oggi, inventato protesi comandate dagli impulsi cerebrali non conta. La vera capacità umana di affrontare i problemi, risolverli e magari trarne vantaggio, che poi è, in estrema sintesi, la nostra capacità di evolverci, che fino a qui ci ha condotti, viene annullata al cospetto di un semplice zombie, dietro cui si nascondono mediocri narratori.
Trattasi ancora di Umanesimo Zombie. Dove col primo termine voglio individuare una corrente nel genere che, al pari di TWD, ma infinitamente meglio nella resa e negli obiettivi, focalizza la narrazione sull'essere umano, più che sullo zombie stesso. World War Z di Max Brooks applica la politica al fenomeno zombie, in uno scenario mondiale. Ma c'è anche chi cura il microcosmo: Maggie, dove Schwarzenegger si prende la briga di sottrarsi agli stereotipi dei suddetti mediocri narratori venendo crocifisso per questo, In the Flesh e Contracted (I e II capitolo), che viene ucciso da un 5 su IMDb, offrono nuovi, interessante spunti di riflessione.
L'interesse è di nuovo orientato sul fenomeno di morte e resurrezione, sugli aspetti patogeni, sull'abbattimento dei medesimi schemi sociali tanto avversati da Romero. Abbattimento che, in questi casi, avviene dal momento in cui la malattia incurabile inizia a manifestarsi, frantumando di fronte alla propria potenza e incoercibilità, le medesime sovrastrutture mentali e sociali con le quali abbiamo sentito il bisogno di circondarci.
La malattia è la protagonista, col lento declino dei corpi, vascelli delle nostre menti. Di fronte a essa, non c'è abilità che conti, né addestramento.
Siamo tutti vulnerabili. Le angosce di fronte a un male incurabile sono la vera essenza, ora, del genere zombie. Fino alla prossima, inevitabile rinascita. Perché il mondo, reale o di fantasia, è sempre nei nostri occhi...