Anno: 2010 / Distribuzione: Universal Pictures / Durata: 115′/
Genere: Thriller – Spy Story / Nazionalità: Usa / Regia: John Madden
Si snoda lungo una doppia direttrice temporale sino all’inevitabile e fatale epilogo in uno squallido ospizio di Kiev, in un palleggio cronologico tra un presente post-caduta del Muro (il 1997 per la precisione) e un passato datato 1965 vissuto oltre la cortina di ferro, il plot dell’ultima fatica di John Madden dal titolo The Debt, a sua volta remake dell’omonima pellicola israeliana diretta nel 2007 dal collega Assaf Berenstein.
Il film racconta di una missione che ha reso celebre un decoratissimo terzetto di ex agenti dei servizi segreti israeliani, il Mossad, che ha come unico obiettivo la cattura di un crudele e famigerato chirurgo nazista, tale Dieter Vogel, ora celato sotto le mentite spoglie di un ginecologo nella Berlino Est degli anni Sessanta. Scampato alla cattura, il cosiddetto chirurgo di Birkenau riappare a trent’anni di distanza per consumare la sua agognata vendetta nei confronti del trio.
E, sinossi alla mano, c’è da sbizzarrirsi nello scontato quanto inevitabile gioco dei rimandi cinematografici, che, se da un lato richiama il bellissimo Camminando sull’acqua (2004) di Eytan Fox o Les patriotes (1994) di Eric Rochant, dall’altro non può che ricondurre lo spettatore al criminale di guerra Kurt Dussander, interpretato in maniera superba da Ian McKellen in L’allievo (1998) di Bryan Singer e, soprattutto, al “Macellaio di Lione”, ossia Klaus Barbie, la cui storia vera è stata precedentemente narrata in due documentari: Hôtel Terminus (1988) di Marcel Ophüls (figlio del celebre Max) e Il nemico del mio nemico (2007) di Kevin Macdonald. Ma ancora più inevitabile è il richiamo allo spielberghiano Munich, pellicola con la quale The Debt ha non pochi punti di contatto, a cominciare dalle atmosfere per finire con la spedizione punitiva. Nel film del 2005 si parte però da fatti veri e poi romanzati, quelli accaduti il 5 settembre del 1972 (raccontati in forma documentaristica dal già citato Macdonald nel 1999 in Un giorno a settembre), quando un commando di feddayn palestinesi penetrò in un hotel per sequestrare e uccidere gli atleti della rappresentativa israeliana alle Olimpiadi di Monaco di Baviera, per poi disegnarne gli scenari successivi con la ritorsione nei confronti dei presunti mandanti della strage con la missione “Ira di Dio”.
In questo continuo viaggio spazio-temporale che intreccia i fili della Storia e il destino di miliardi di vite c’è di mezzo un segreto che lo scorrere inesorabile dei giorni rischia di riportare pericolosamente a galla. Un segreto che adesso è diventato un fardello da portare sulle spalle come un senso di colpa che attanaglia, custodito per decenni nel silenzio omertoso dei tre protagonisti di questo thriller storico dalle venature spionistiche, al quale il regista britannico, classe 1949, haaggiunto un tocco in più di azione a scapito di una suspense che si è assottigliata, facendosi latente rispetto all’originale. La suspense c’è, ma come folate di vento in un’afosa giornata d’estate. E la suspense come si sa è un elemento imprescindibile di un buon thriller che si rispetti.
Un vero peccato, perché nel complesso il nuovo film di Madden, che nel proprio curriculum può contare solo sul riuscito Shakespeare in Love (1998) e non di certo su Il mandolino del capitano Corelli (2001) o Proof – La prova (2005), funziona grazie alle riuscite interpretazioni dei due terzetti chiamati a vestire i panni degli agenti a lavoro e in pensione (una su tutte Jessica Chastain), al contributo del direttore della fotografia Ben Davis e, in primis, ad una scrittura che, alla pari della pellicola di Berenstein, ricompone senza incertezze e con grande attenzione per i dettagli l’intero “puzzle” narrativo, combinando, come aveva fatto Spielberg prima di lui, la ricostruzione romanzata di un possibile passato ad una lezione di storia per l’oggi attraverso le cadenze di un thriller d’azione.
Francesco del Grosso