Mi sono accorto di non averlo ancora recensito, questo bellissimo disco della indie band dell’Oregon che ha occupato la nicchia ecologica dei R.E.M. nell’ecosistema del rock. Fatto è che il mio tempo è molto risicato, perché sto scrivendo la seconda parte (il lato B) di Long PLaying, una storia del rock, quella che si intitola Il Ritorno del Rock, che, lungi dall’essere un semplice aggiornamento, ha preso vita autonoma e reclama tutta la mia attenzione. D’altra parte c’è dentro tutto il rock dagli anni settanta ai duemilaedieci, dunque... E poi c’è anche da vivere, no? Amare, soffrire (non necessariamente in quest’ordine), lavorare, ascoltare musica, camminare, seminare il prato, guardarlo non crescere, andare ai concerti, suonare (si fa per dire) la batteria...
Allora solo una segnalazione: What a Terrible World, What a Beautiful World è uno di quei dischi da non ignorare. Soprattutto perché è bellissimo ed è la colonna sonora ideale di questi giorni, da lasciar suonare in sottofondo dappertutto, in casa, in auto, nella propria testa.
Lo stile è grandi ballate, moderne e robuste, ma anche classiche ed evocative, di quelle che ti solleticano l’anima. È anche molto orecchiabile e addirittura radiofonico (la radio di una volta, si intende, non la demenziale di oggi), in stile R.E.M. e Americana. Ci sono danze folk a la Dexys come Calvary Captain, c’è rock’n’roll a la Beach Boys come Philomena, e ci sono ballate profonde ed emozionanti come Till the Water's All Long Gone e Caroline Low.
Alla fine non sarà il mio album dell’anno, ma se c’è un suono del 2015, quello è What a Terrible World, What a Beautiful World.