In un cinema in cui si fa sempre più fatica a trovare delle storie originali, si è iniziato a fare del modo di raccontarle qualcosa di diverso.
Lo scambio dei punti di vista, ad esempio, sta andando per la maggiore.
A partire dalla TV con l'acclamata serie The Affair arrivando appunto al cinema con il purtroppo snobbato Gone Girl, si dà voce prima all'uno poi all'altra dei protagonisti, dividendo il loro sguardo, quello maschile e quello femminile, facendo della verità qualcosa di quasi irraccontabile e inarrivabile.
Lo stesso avviene nell'opera di Ned Benson, divisa in due parti, la prima affidata al racconto di Conor, la seconda invece ad Eleanor, presentate separatamente al Festival di Toronto per poi unirle, facendo un film unico (alla voce Them) passato per Cannes.
Il risultato è di quelli che intrigano tanto gli appassionati di cinema, meno i distributori italiani, che infatti hanno deciso di non rischiare, nemmeno con la versione unificata, facendo arrivare direttamente nel circuito home video il film.
Come questo sia possibile, visto il cast comprendente nomi come Jessica Chastain e James McAvoy, di certo non una coppia di sconosciuti, fatevelo spiegare da loro.
Ma veniamo al film, cercando di vederlo prima di tutto, e unicamente (per il momento), nella sua singolarità.
Conor è un giovane che cerca di sfondare nel campo della ristorazione. I conti del suo piccolo bistrot non vanno però alla grande, anzi, e il suo chef e amico sembra non preoccuparsene troppo, non sforzandosi minimamente per creare qualcosa di nuovo e gustoso dietro i fornelli.
Non va certo meglio dal lato sentimentale, visto che la moglie di Conor, Eleanor, soffre chiaramente di depressione, lo vuole lasciare, o vuole farsi lasciare, spingendolo tra le braccia di un'altra, prendendosi una pausa, scomparendo nel nulla.
Il motivo di questa crisi arriva come un fulmine a ciel sereno a quasi metà film: loro figlio è morto.
L'elaborazione del lutto, come spesso accade, li ha divisi.
Scappando Eleanor vuole ritrovare se stessa, lasciando però Conor perso e senza una meta, lui che ha solo in lei la sua bussola di orientamento, e che quindi si ritrova a pedinarla, a stalkerarla tra le strade di New York, risalendo fino alla casa dei genitori dove si è andata a rifugiare, trovando lui stesso rifugio in quella del padre che nella ristorazione ce l'ha fatta e sarebbe pronto ad accoglierlo con la sua saggezza spiccia.
Il presente in crisi che vediamo continuerà a fare i conti con quel passato carico di amore, di felicità e speranza che ci viene mostrato all'inizio, con quella giovane coppia senza pensieri e senza un soldo che scappa, che corre, che si ferma per guardarsi negli occhi.
La diffidenza che c'è ora, la paura nello sguardo di Conor di dire, di fare la cosa sbagliata, non lascia spazio alla forza di un'unione.
Sprecando ogni possibilità.
Il filo che li lega sembra quindi pian piano sfibrarsi, alimentato più da un'ossessione che da altro.
Non bastano tutti i consigli, tutte le perle di saggezza che amici e parenti offrono a Conor, incapaci loro per primi di muoversi attorno ai suoi sentimenti, i conti con la realtà li deve fare lui, fossero anche quelli in rosso di un'attività destinata a chiudere.
Il finale sembra non porre una fine, lasciando sospeso un punto di vista, la voce dell'altra metà chiamata a parlare, chiamata a giustificarsi, come se ce ne fosse bisogno.
Lasciando andare i passi, fermando quella macchina da presa che con le sue carrellate li ha seguiti, li ha spiati, fino ad ora, fino a un nuovo presente in cui continuare a guardare avanti sembra possibile.
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