La trama (con parole mie): nel cuore di una New York sotto attacco nucleare, un gruppo di abitanti di un condominio trova rifugio nel bunker antiatomico costruito dal manutentore dell'edificio Mickey, posto nei sotterranei del palazzo.
Superata la sensazione di disorientamento iniziale, i rifugiati cercano di trovare un equilibrio nella loro convivenza, quando una squadra di soldati armati di tutto punto e protetti da tute anti radiazioni entra nel rifugio rapendo la giovane figlia di Marilyn, membro del gruppo: a questo punto i conviventi forzati si troveranno di fronte all'ostilità di Mickey rispetto all'idea di tentare una missione di recupero per la bambina e all'idea che, se le cose all'esterno non dovessero andare per il verso giusto, tutti loro dovrebbero convivere con l'idea di rimanere prigionieri sottoterra fino ad una morte quasi certa.
E' curioso quanto alcuni titoli che restano lì come in agguato per mesi, diretti da un regista che non è mai stato particolarmente in grado di stupirci in positivo, riescano al contrario ad affermarsi con una forza insospettabile e a suo modo dirompente: The divide è uno di questi.
Costruito su un'ossatura per nulla nuova al suo genere - dai tempi di Carpenter e del suo Distretto 13 le pellicole d'assedio hanno di fatto costituito quasi una sorta di sottofamiglia del thriller e dell'horror - dall'atmosfera post-apocalittica alla terribile evoluzione del concetto "homo homini lupus", non immune ad una serie di difetti ben definiti - alcune parti e giustificazioni paiono raffazzonate, come l'intrusione dei soldati all'esterno o il loro laboratorio, altre troppo poco approfondite, come il passato del custode Mickey -, il lavoro di Gens prende consistenza con il passare dei minuti - anche se, occorre ammetterlo, soprattutto nella fase centrale si finisce per patire il minutaggio abbondante - mostrando un piglio decisamente interessante che ha riportato alla memoria del sottoscritto titoli spietati come Il tempo dei lupi di Haneke, complice il progressivo regredire ad uno stato selvaggio degli occupanti del bunker, consumati da invidie, bisogni primari e squilibri psicologici e culminato con una serie di scontri sempre più violenti ed una parte finale da fare invidia ai migliori horror, che se solo avesse liberato la sua potenza con qualche minuto di anticipo avrebbe reso The divide una proposta imperdibile per gli appassionati del genere.
L'accoppiata Milo Ventimiglia/Michael Eklund, in questo senso, funge da catalizzatrice di tutte le energie più efficaci e spaventose del film, passando dal rappresentare la resistenza al regime di Mickey a divenire le vere e proprie anime nere del bunker, progressivamente deformate anche nel corpo neanche fossero le creature sotterranee di The descent, prive di capelli e sopracciglia, abbigliate come i membri più importanti di una distorta famiglia più che disfunzionale.
Ma la vera sorpresa della convincente esplosione della parte finale del lavoro di Gens è data da Ivan Gonzales: il suo Sam, compagno della protagonista Eva, vissuto all'ombra dei maschi alfa rinchiusi come predatori affamati in un rifugio che pare sempre più stretto ed angusto, esplode la sua rabbia repressa in un gesto sconsiderato e clamoroso, terrificante eppure inesorabilmente umano.
Un faccia a faccia terribile e senza speranze che porta lo spettatore a prendere coscienza di una riflessione che non sarà nuova, ma che riesce sempre e comunque a sconvolgere: quella della crudeltà da abisso della sopravvivenza che ci portiamo dentro in quanto prima di ogni altra cosa animali pronti a dare libero sfogo alla legge della giungla nel momento in cui le condizioni di pacifica convivenza vengono meno, e tutto si riduce alla scelta più terribile: "O tu, o io".
Se soltanto il regista - e gli sceneggiatori - si fossero concentrati maggiormente su questo aspetto senza dover necessariamente inserire l'elemento esterno - i soldati apparentemente nordcoreani, di fatto inutili se non per giustificare le tute anti radiazioni - o perdersi nello scontro iniziale tra il gruppo e Mickey - anche se, occorre dirlo, l'immagine del manutentore fresco di omicidio appena compiuto dietro alla bandiera americana come un sipario è un colpo magico -, il risultato, più snello ed assolutamente malvagio, avrebbe fissato uno standard difficilmente eguagliabile dai titoli di un genere che, come detto, continua ad essere sfruttato senza perdere nulla del suo fascino.
MrFord
"Divide, divide, divide, divide
You might say that I'm the last man standing now,
And though you try, you'll never find a way to break me
You might say that I'm sick of being lost in the crowd,
I hear the sirens but they're never gonna take me."
Disturbed - "Divide" -