Andrea Porta è un fanatico, divoratore (e occasionalmente critico) di videogame, serie TV, cinema, letteratura sci-fi e fantasy, progressive rock, comics, birre belga, rolling tobacco e molto altro ancora. Lo trovate su Facebook, su Twitter e su Google Plus.
Una cosa è certa: per Ubisoft non poteva esserci momento migliore per proporre al grande pubblico The Division. Se si sia trattato di un fortuito tempismo dovuto ai tempi di sviluppo da parte di Massive o di una precisa strategia commerciale probabilmente non lo sapremo mai, ma per un ibrido tra sparatutto ed MMO che recupera più di un'idea da Destiny, senza peraltro farne mistero, questo era il tempo perfetto per inserirsi di taglio in una situazione difficile per il diretto concorrente firmato Bungie, caduto recentemente vittima di una povertà di contenuti (e piani chiari per il futuro) che ne ha irrimediabilmente minato la vasta userbase. Milioni di giocatori che per qualche mese sono rimasti letteralmente a bocca asciutta, e hanno iniziato a guardare alla produzione Ubisoft come ad una possibile ventata d'aria fresca. Chiaramente, questo ha contribuito anche a generare grandi attese attorno a The Division, che nei primi giorni di attività si è letteralmente trovato "sotto esame" da parte di una vasta community animata da desideri ben precisi, certo non facili da soddisfare al primo tentativo.
"Tom Clancy's"
Il nome del compianto scrittore americano ha accompagnato innumerevoli produzioni targate Ubisoft, e anche nel caso di The Division non è stato messo in copertina a caso. La storia prende infatti il via da elementi di ricerca ben precisi, che abbiamo esplorato in un recente speciale, e cerca di dare un'idea realistica delle conseguenze di un attacco batteriologico sul suolo americano, in questo caso diffuso tramite una serie di banconote infettate. New York, teatro di tutte le modalità di gioco, diventa una via di mezzo tra città fantasma e campo di battaglia per le varie fazioni che si contendono la sopravvivenza. Da una parte c'è la Divisione, di cui il nostro personaggio creato tramite un editor terribilmente scarno sarà membro, dall'altra vari gruppi di lotta animati da scopi differenti. Ci sono ad esempio i Rikers, evasi dall'omonima prigione, e i Pulitori, convinti che l'unica soluzione al virus siano le fiamme. In questa anarchia quasi totale, l'unica speranza di un progressivo ritorno alla normalità è proprio la Divisione, ultima emanazione dell'establishment governativo che, dopo un primo intervento fallito, cerca di riattivare i quartieri generali distribuiti sulla mappa della città e di avviare una lenta ricostruzione. La trama di The Division non presenta spunti originalissimi, ma riesce comunque a riservare momenti interessanti: soprattutto, si apprezza la sua natura multiforme, dato che la narrazione si serve di brevi video, documenti testuali, registrazioni audio e le cosiddette Echo, ricostruzioni olografiche che permettono di rivivere momenti salienti dell'epidemia. Si tratta di materiale facoltativo, ma chi avrà la pazienza e la voglia di esplorarlo troverà una scrittura tutto sommato accurata, e qualche idea interessante.
Guerriglia urbana
Uno dei principali pregi di The Division è la sua capacità di organizzare in maniera molto lucida e razionale gli spazi di gioco. Una volta completato il breve tutorial, la mappa di New York sarà a completa disposizione del giocatore, divisa tra il Quartier Generale e le varie safe house, le zone pubbliche (divise per livello) dove si trovano missioni principali, secondarie e gli incontri casuali, e la Dark Zone, area dedicata a un mix tra PVP e PVE sul quale torneremo solo più avanti. La progressione iniziale è piuttosto inquadrata - sostanzialmente si procede affrontando le missioni principali che si sbloccano man mano, alternando il completamento di attività secondarie - eppure già la possibilità di giocare in cooperativa con altri agenti valorizza un gameplay che fa della ripetizione il suo pilastro, tentando di variare le meccaniche principalmente grazie al loot e ad un level design molto abile nel reinventarsi, seppure partendo da basi non originali. Singolo e multigiocatore si fondono quindi in una formula che pare ricalcare quella dello sparatutto online di Bungie, eppure compie sin dal primo approccio dei passi in avanti fondamentali per rendere tutta la progressione molto più soddisfacente. Nelle circa trenta ore che servono per raggiungere il level cap ed affacciarsi così all' end game, la formula ideata da Massive si rivela meglio razionalizzata, proponendo una crescita in livelli sensata e comprensibile, una buona alternanza tra completamento di missioni e puro grinding, e soprattutto dimostrandosi capace di supportare in parte anche il gioco in singolo, senza per questo annoiare. E questo lo si deve innanzitutto a meccaniche che ibridano lo shooter in terza persona con coperture al GDR, aggiungendo al semplice run&gun una componente ruolistica fatta di DPS, resistenze e modificatori. Una struttura già solida di per sé, e assolutamente necessaria per supportare a dovere il senso di continua progressione che accompagna il giocatore dal primo minuto speso tra le strade della Grande Mela, senza mai mollare. Un traguardo fondamentale, che supera in gran parte i limiti di ripetitività del mission design e tiene incollati allo schermo, alla continua ricerca di una perfetta combinazione tra armi, equipaggiamento, abilità e perk. Questo è stato possibile grazie ad un'idea di fondo, che vede il proprio personaggio come in costante cambiamento: invece di adottare un sistema di classi, i ragazzi di Massive lasciano che sia il giocatore a scegliere come impegnare i due slot dedicati alle abilità speciali del proprio personaggio, che spaziano da quelle di cura (personale o di gruppo), a quelle strategiche (torrette piazzabili e granate "intelligenti") sino a quelle di difesa (coperture mobili). Una volta sbloccate facendo progredire il proprio Quartier Generale, queste skill potranno essere cambiate in qualunque momento, anche nel corso di una missione, creando sinergie molto interessanti e profonde sia all'interno della squadra, dove bilanciare finemente gli "ruoli" di ciascuno può diventare un esercizio impegnativo e divertente, sia nella costruzione del proprio personaggio, che passa anche per l'arsenale (i pezzi rari hanno sempre proprietà secondarie e modificatori da tenere in considerazione) e lo sblocco dei perk, bonus passivi "fissi" anch'essi di grande importanza.
Ecco che la ricerca dell'equipaggiamento e dell'arsenale diventa quindi motore principale di tutta l'esperienza, al fine di arrivare all'end game davvero preparati. Questo longevo percorso passerà anche per un sistema di crafting strutturato in maniera piuttosto semplice, che in alternativa al drop diretto dai nemici e ai vendor presenti nelle zone franche permette di impiegare materiali raccolti nella mappa di New York per creare armi ed equipaggiamento con qualche variabile casuale. Se durante la progressione regolare il sistema può essere facilmente trascurato, una volta raggiunto il level cap se ne scopriranno qualità interessanti, argomento che affrontiamo nel capitolo dedicato all'end game.
Benvenuti nella Divisione
Per quanto la progressione in solitaria sia possibile in The Division, e possa all'occasione trasformarsi in un impegnativo susseguirsi di missioni e pattuglie di discreto interesse, il cuore dell'esperienza rimane in ogni caso saldamente ancorato alla cooperazione. Se affrontare le missioni principali a modalità normale può fare inizialmente da tutorial per l'esperienza, è solo attivando il successivo livello di difficoltà che le meccaniche cooperative possono davvero emergere, la - spiccata - personalità dell'arsenale acquisire senso e la gestione delle abilità diventare davvero necessaria per arrivare sino in fondo. Il matchmaking, attivo su tutte le missioni e sempre fulmineo, permette di unirsi in squadra in breve tempo con sconosciuti, e questo può comunque dare origine a sessioni di gameplay soddisfacenti, ma è solo con la comunicazione vocale che il gameplay si rivela davvero profondo, soprattutto aumentando il livello di difficoltà. Per quanto la struttura di base sia indubbiamente ripetitiva, con un sostanziale susseguirsi di ondate nemiche che si affacciano alla squadra ad ogni nuova ambientazione esplorata, a tenere alto l'interesse ci pensano le buone routine dell'intelligenza artificiale. Quest'ultima infatti pare ben bilanciata per sfruttare adeguatamente l'impianto di gioco: se in uno sparatutto in terza persona "tradizionale" si potrebbe storcere il naso di fronte ad avversari che avanzano imperterriti, in The Divison l'ibridazione con il GDR funziona fino in fondo, fa sospendere l'incredulità, e soprattutto fa apprezzare il trovarsi costantemente in inferiorità numerica, schiacciati sotto alle coperture tempestate di proiettili. E' una guerra di trincea, quella del gioco Ubisoft, e se affrontata nel modo giusto riesce a comunicare tutto lo stress e la fatica necessari per conquistare il campo di battaglia un centimetro alla volta, sfruttando tanto l'ottimo sistema di coperture dinamico, quanto le peculiarità dell'arsenale. Proprio su quest'ultimo vale la pena spendere qualche parola: per quanto i "ferri del mestiere" siano tutte controparti di armi realmente esistenti, i ragazzi di Massive sono riusciti ad infondere grande personalità in ogni bocca da fuoco, differenziandola per cadenza ed effetto all'impatto, e soprattutto proponendo un sistema di personalizzazione estetica e prestazionale efficace.
Aggiungendo ottiche e modificatori sentirete la vostra arma cambiare ed evolversi tra le vostre mani, finendo davvero per avvertire un senso di possesso genuino. E relativamente a quel "modo giusto" di affrontare The Division che citavamo poc'anzi, il riferimento era chiaramente al riservarsi di vivere almeno una parte dell'esperienza in compagnia: se è vero infatti che il level design trova nelle missioni principali alcuni spunti davvero riusciti, è senza dubbio il lavoro di squadra a valorizzare tutto l'impianto di gioco fino in fondo, e questo deve essere ben chiaro a chiunque decida di avvicinarsi alla produzione Ubisoft.
Zona Nera
Proprio come la mappa aperta di New York, anche la Dark Zone si presenta divisa in livelli. Qui si potranno incontrare pattuglie di nemici elite, simili ai mini-boss delle missioni principali, i quali potranno essere eliminati in cambio di loot. La vera particolarità della Dark Zone è tuttavia il PvP attivo, che permette in qualunque momento di attaccare ed essere attaccati da altri giocatori, con la possibilità, in caso di successo, di sottrarre loro il bottino accumulato (ma solo nella sessione di gioco in corso all'interno della Dark Zone, sin dal precedente ingresso nell'area). L'unico modo per mettere al sicuro il loot accumulato sarà raggiungere i punti dedicati e chiamare un'estrazione, attendere qualche secondo per l'arrivo di un elicottero, eliminare qualche ondata di nemici e finalmente "spedire" i pezzi trovati al sicuro. Chiaramente, il razzo di segnalazione utilizzato per richiamare l'estrazione verrà notato da tutti i giocatori nei dintorni, i quali potrebbero decidere di rompere le uova nel paniere a chiunque stia cercando di mettere in cassaforte i propri sudati averi.
Se questo espediente, volto a creare scontri PVP di continuo nella Dark Zone, sembrava molto interessante sulla carta, alla prova dei fatti la soluzione di Massive è apparsa ancora passibile di miglioramenti. Sebbene alcuni violenti scontri talvolta arrivino a rallegrare l'esplorazione, soprattutto raggiunto l'end game i giocatori tendono più a comportarsi secondo una sorta di " patto di non belligeranza" volto a massimizzare l'accumulo di prezioso loot: dato che eliminare altri giocatori e rubare i loro averi significa essere marchiati come "Rogue Agent", e attirare su di sé moltissima attenzione, nella maggior parte dei casi si finisce per preferire la semplice eliminazione delle intelligenze artificiali e non disturbare le altrui estrazioni. Proprio per questo, spesso la Dark Zone finisce per apparire più come una semplice estensione della mappa regolare di New York che una base per del solido PvP. A questo si dovrà ovviare in futuro aggiungendo ricompense per l'eliminazione di giocatori che vadano al di là del loot da loro accumulato, oppure prevedendo modalità competitive più strutturate. Chiaramente, parliamo di un'incognita più legata all'end game che alla progressione regolare, e proprio di questo parliamo in chiusura.
Fine dei giochi?
Con un minimo di venti/venticinque ore (ma prendendosela molto comoda ci si può avvicinare anche alle cinquanta), la progressione del personaggio arriva al livello 30, ossia il level cap. Una volta appurato il fatto che questo percorso è già in qualche modo autosufficiente e in grado di soddisfare il giocatore (cosa che non succedeva con Destiny, ad esempio), è comunque importante capire cosa Ubisoft abbia in mente per il futuro di un gioco che chiaramente è stato strutturato per continuare ad ospitare i giocatori sui propri server anche una volta completate le attività principali. Proprio qui si apre una delle più grandi incognite di The Division, e di ogni gioco online in generale.
Per cominciare, lo sblocco dell'ultimo livello permetterà al giocatore di affrontare tutte le missioni principali con un modificatore di difficoltà aggiuntivo, in grado di trarre il meglio dall'equipaggiamento più raro, e offrirà ogni giorno una selezione di tre quest giornaliere (anch'esse recuperate dalle missioni principali): due difficili e una "molto difficile", in grado di rappresentare una bella sfida anche per i team più affiatati (e di impegnare facilmente almeno un'ora e mezzo di tempo). Tutto questo permetterà di accumulare una nuova valuta, nota come Crediti Phoenix, che sarà spendibile presso un vendor dedicato per accedere a nuovo equipaggiamento raro. Anche il crafting riceve aggiornamenti: lo stesso mercante avrà infatti disponibilità di progetti unici venduti tramite i crediti Phoenix, i quali richiederanno poi il farming di materiali rari per permettere la creazione del relativo equipaggiamento, che presenterà livello 31, ossia il più alto al momento disponibile. Ecco quindi che l'attuale end game di The Division si rivela già in grado di impegnare per molte ore anche una volta raggiunto il cap, con lo scopo di portare tutto il proprio equipaggiamento al massimo livello possibile, massimizzando danno ed efficienza e preparandosi per il Raid in arrivo il mese prossimo, un tempismo che ci pare più che appropriato per permettere a un buon numero di giocatori di portarsi in pari. In altre parole, attualmente l'end game è invero scarno, anche a causa della difficoltà nel farsi trascinare in scontri PVP convincenti, ma riuscirà a tenere comunque impegnati i giocatori intenzionati a portare il proprio equipaggiamento alle massime conseguenza (come del resto vale per tutte le esperienze online condivise). Per tutti gli altri, c'è l'assicurazione di Ubisoft che il gioco verrà supportato con nuovi e frequenti contenuti: non un'assoluta certezza, ma le basi per fare un ottimo lavoro ci sono, e si sono rivelate anche più solide del previsto in fase di recensione.
Da Hell's Kitchen a Downton
Partendo da un design di caratura notevole, che tratteggia la destroyed beauty di New York senza troppi voli di fantasia e basandosi su un realismo talvolta impressionante, il comparto tecnico di The Division è indubbiamente fatto di luci ed ombre su console next gen. All'esterno, la modellazione poligonale è di tutto rispetto, e l'effettistica legata a fuoco, particellari atmosferici ed esplosioni non delude, ma il problema principale rimangono le texture. A quelle di buona qualità se ne affiancano altre dalla definizione visibilmente scarsa, e in generale rimane un costante problema di caricamento in ritardo. Relativamente al frame rate, la situazione è generalmente stabile sui 30 FPS, ma i cali non mancano, soprattutto nelle situazioni più concitate. Solo di rado, ad ogni modo, ci siamo trovati di fronte a problemi in grado di influenzare l'esperienza di gioco. Complessivamente, il rendering è comunque piacevole, e permette di apprezzare a sufficienza lo straordinario lavoro fatto in fase di caratterizzazione della città. Quanto al sonoro, le musiche originali non presentano spunti eccezionali ma fanno il loro dovere, e il doppiaggio in italiano si rivela generalmente accurato e piuttosto convincente.