The Dressmaker di Jocelyn Moorhouse, con Kate Winslet, diverte ed emoziona con personaggi ben caratterizzati e una sceneggiatura pimpante che calca la mano sul romanzato.
Tratto dall’omonimo romanzo di Rosalie Ham, The Dressmaker è dramma, commedia (romantica e nera) e western allo stesso tempo. Il West è lo sfondo su cui si stende l’intero film. Un (Far) West adagiato, però, nella più splendida e desertica Australia e al giro di boa del Novecento, quando il mito della frontiera è oramai defunto da un pezzo.
Protagonista è Myrtle “Tilly” Dunnage (Kate Winslet) che ritorna nella desolata e minuscola Dungatar, sua città natale, per accudire la madre sola e malata, Molly (Judy Davis). Un ritorno inaspettato dopo anni d’esilio in Europa per un presunto omicidio di cui è stata accusata in tenera età. Un ritorno che porta con sé rancori, rimpianti e una strisciante voglia di vendetta.
The Dressmaker dosa alla perfezione il dolce e l’amaro, i sentimenti più rosei e quelli più grigi, attraverso una schiera di personaggi ben tratteggiati, che non esitano a sfondare nella macchietta. Ma è il West, dove ciascuno ha il proprio ruolo, i propri tic, i propri tratti distintivi tipicamente cinematografici. Con un tocco di modernità, però, come dimostra l’eccentrico personaggio effemminato del sergente Farrat, interpretato da uno spassoso Hugo Weaving (fa un certo effetto ricordarselo glaciale e indistruttibile nelle vesti dell’Agente Smith di Matrix). L’accoppiata Kate Winslet e Judy Davis è fenomenale. La prima, nei panni di un character che mischia la raffinata aria snob della Streep de Il diavolo veste Prada e il viscerale desiderio di strage di Uma Thurman/Beatrix Kiddo di Kill Bill, è semplicemente divina, più che mai attrice di gran classe con un personaggio cucitole addosso perfettamente. La seconda, invecchiatissima ma con l’occhio vispo, è da applausi nella parte della madre scontrosa e bisbetica (sotto sotto) disposta a tutto per aiutare la figlia tornata all’ovile.
The Dressmaker è quindi una chimera, una sorta di sfinge che sfugge alle catene di molto cinema (in)quadrato. Un’opera che lavora bene in ogni reparto (regia, fotografia, colonna sonora, recitazione), che sa dove inciampa e dove rialzarsi, film ricco di elementi saporiti (e studiati a tavolino) che schivano lo spauracchio dell’accozzaglia.
Vota il post