Grazie al valore in battaglia saprà guadagnare il rispetto dei suoi uomini, ma le ferite riportate lo costringeranno ad abbandonare la carriera militare: così, per trovare pace rispetto al ricordo del genitore, il centurione si imbarcherà in un'avventura che potrebbe significare morte certa accanto allo schiavo nativo di quei luoghi Esca, destinato a divenire più di un compagno di viaggio per il protagonista.
In principio, era Centurion, guidato dalla mano ferma e violenta di Neil Marshall.
Dunque venne Kevin MacDonald, scozzese anch'egli, cresciuto a pane e documentari - ottimi, recuperate One day in september e La morte sospesa -, che torna ad occuparsi delle vicende della misteriosa Nona legione prendendole alla larga, e ripartendo vent'anni dopo la sua scomparsa per fornire un suo personale epilogo di una vicenda ancora misteriosa per storici, archeologi e romanzieri.
Il regista de L'ultimo re di Scozia non ha certo, almeno per quanto riguarda la fiction, gli attributi del cineasta di The Descent, e non si prefissa di certo come obiettivo primario quello di tracciare una linea tra gli accadimenti storici ed il mito, quanto di narrare una storia di solida amicizia virile nel pieno stile dei film d'avventura in grado di pescare a mani basse da pellicole note quali Il gladiatore, Braveheart o L'ultimo dei Mohicani, riflettendo al contempo sulla natura del diverso e le difficoltà di costruzione di un rapporto nato come una rivalità e divenuto progressivamente un patto, prima d'onore e doveri, dunque di vera e propria fedeltà.
Non una pellicola indimenticabile - ma del resto non lo erano neanche il già citato L'ultimo re di Scozia o il più discreto State of play -, ma comunque un buon intrattenimento nel pieno spirito del genere in grado di risvegliare passioni ormai sepolte - come quella del sottoscritto per la Storia antica - ed in grado di gettare, quasi fossero sassate improvvise, ottime idee accanto a più numerosi scivoloni nel territorio del già visto e sentito, soprattutto a livello di sceneggiatura.
Se dovessi essere maligno, affermerei che si tratta del tipico film che maschera il blockbusterismo con massicce dosi di finta autorialità, di quelli della razza peggiore, responsabili delle più basse dichiarazioni da lunedì dopo un weekend di divano e film dei colleghi normalmente a digiuno da grande schermo che dipingono anche le peggiori porcate come Capolavori.
Al contrario, ho deciso di seguire l'istinto ed il cuore, in una certa misura - in fondo il Cinema di questo genere, volente o nolente, tocca alcune corde di autoesaltazione assolutamente incontrollabili -, affermando che Kevin MacDonald ha fatto il meglio che poteva rispetto ai suoi mezzi - decisamente più limitati quando si tratta di fiction e non di documentari, per l'appunto - trasformando un potenziale polpettone retorico filo ridleyscottiano in un più che discreto lavoro di formazione come avrebbero voluto gli anni ottanta, in grado di allontanarsi dalle più becere situazioni da film di grande distribuzione - almeno in parte - strizzando l'occhio addirittura ad opere assolutamente anticommerciali come Valhalla rising, assolutamente lontano dalla materia qui trattata eppure in qualche modo richiamato dallo spirito desolato e desolante delle Highlands pronte ad inghiottire chiunque le sfidi, quasi fossero espressione di una Natura ben più grande e pericolosa dei giochi degli uomini e delle loro piccole, piccole regole d'onore.
Unica vera pecca, ben più grave rispetto allo spirito decisamente più leggero se confrontato al succitato Centurion, il crescendo finale, poco coraggioso rispetto alle possibilità di scelta a disposizione del regista, e decisamente legato ad un Cinema per tutti che, in fondo, per tutti non è, perchè delude le aspettative del pubblico occasionale come di quello di nicchia.
Molto più incisive le parti dedicate alla convalescenza di Marcus dallo zio - un sempre carismatico Donald Sutherland - e al viaggio di Esca e dello stesso Marcus attraverso i territori brumosi ed apparentemente sconfinati del profondo Nord dei tempi.
Ad ogni modo, liberatisi da quel piglio da so tutto io tipico dei cinefili, opere come questa risultano ampiamente fruibili nonchè palesemente superiori - nonostante, in questo caso, un montaggio ed uno script non impeccabili - ai comuni prodotti da grande distribuzione, ovvero il meglio che si possa chiedere per non sentirsi attanagliati dalla spiacevole sensazione di aver perso quasi due ore della propria vita e, al contempo, aver alimentato emozioni e curiosità parallele - l'interesse per la Storia, ad esempio, anche questo già citato - che sarà sempre possibile sviluppare a visione terminata.
MrFord
"And I hear the cry of an eagle
out in the heavens he will not obey
I hear the cry of an eagle
riding on wings of tomorrow
that take me away."
Gammaray - "Eagle" -