The Freak’s Note Collection We Trust in Wine

Creato il 02 settembre 2012 da Thefreak @TheFreak_ITA

Il vino è un essere vivente. E amo immaginare l’anno in cui sono cresciute le uve di un vino. Se c’era un bel sole, se pioveva. E amo immaginare le persone che hanno curato e vendemmiato quelle uve. E se è un vino d’annata, penso a quante di loro sono morte. Mi piace che il vino continua a evolversi. Che se apro una bottiglia oggi avrà un gusto diverso da quello che avrebbe se l’aprissi un altro giorno. Perché una bottiglia di vino è un qualcosa che ha vita. Ed è in costante evoluzione e acquista complessità, finché non raggiunge l’apice. […] E poi comincia il suo lento, inesorabile declino.(Dal film Sideways)

Settembre è giunto e ha portato con se il suo clima raffinato, a metà tra il prolungarsi della calura estiva corretta da un tiepido vento del nord e il cielo limpido a giorni, come costernato da nuvole rapide che rincorrono l’orizzonte.

In questa atmosfera da prese di consapevolezza e da respiri rarefatti e intensi si distendono nelle campagne di buona parte del nostro bel Paese ettari di vitigni, con le loro sfumature verdognole, con i ricami delle foglie e dei rami intorno al fusto, con le tinte delle uve, ora violaceo, ora paglierino, e con i lunghi e striati percorsi che compongono sulla campagna, piegando la terra in un effetto optical da rimanere incantati.

A settembre si concentra il momento più “caldo” della vendemmia, e cioè la pratica di raccolta delle uve destinate alla produzione del vino.

Il sempre utile Wikipedia informa circa l’etimologia della parola Vino, che ha origini dal verbo sanscrito “vena” e cioè amare, e da qui si coglie agevolmente come la storia del vino sia una storia antica, che ha solcato e attraversato ere e civiltà fino a giungere nei nostri tempi modernissimi, non perdendo ma rafforzando la sua valenza cibaria come “sentimentale”. Il vino e la parola amare, da cui discende. Chi ama il vino si presenta come un certo tipo di persona, con una forte attitudine al godimento, alla passione, alla socialità, alla convivialità, alla ricerca, e all’appagamento sensoriale.

Il vino, in tutte le sue sfumature alcoliche, di gradazione, di colore e di sapore, in tutte le sue etichette e le forme delle bottiglie che lo contengono, in tutti i suoi nomi più variegati, e in tutte le sue annate e le sue denominazioni più o meno certificate è certamente il simbolo di una certa Italia, la più conturbante e la più vera.

L’Italia della terra e del convivio, dei tavoli legnosi su cui si riversano bianche tovaglie e piatti in terracotta per improvvisare un pranzo rustico e saporito, con le risate intorno e i cani lasciati liberi sul prato.

Ancora l’Italia delle piazzette dei centri storici, con i tavolini di ferro e le candele accese, con la complicità del tramonto o della luna, in cui si consumano conversazioni e pensieri sofisticati, o semplicemente chiacchiere amichevoli e sornione, con la benedizione di una bottiglia di vino tenuta in fresco dal cestello del ghiaccio, se si sceglie il bianco, o diversamente da una bottiglia robusta in cui è contenuto il nettare rosso, quello che rievoca il sangue e la carne, che scalda le vene, che incanta il palato.

Il vino non è una semplice bevanda da scegliere in alternativa a una qualsiasi altra predilezione alcolica. Il vino ha un’identità, ha un vissuto, e Nazim Hikmet invitava a riempire la testa di vino prima che si riempia di terra, a gustare quel nettare così denso e ammaliante per scardinare ogni pudicizia emotiva e lasciarsi abbandonare dolcemente dalle sensazioni di cui il corpo gode appena viene sfiorato dal suo corso.

Il vino trascrive la storia di ognuno di noi. Racconta dei luoghi, connota i territori, cosparge i giorni di un senso proprio. Lega le persone, poiché chiama e sancisce condivisione, esalta i pasti e determina alcune dimenticanze scomode che appartengono a giornate sbagliate.

Il vino appartiene alle stagioni del tempo, e a seconda di come le ore corrono al passo del calendario, le scelte vinicole ruotano, proponendo i nostri gusti, come la scoperta di nuove e diverse alternative, per andare a impreziosire la nostra cantina intima e personale.

Il vino, come dicevo racconta le storie di ognuno di noi, o semplicemente narra di altre storie, che trapassano i colori e i pigmenti che si manifestano nei bicchieri, e per ogni vino esiste un calice, e ogni vino muta la sua pelle a seconda del vestito di vetro che indossa, e le parole di quelle storie odorano del sapore del vino, di quelle essenze di bergamotto e mora, di muschio e ribes, di cui sono altamente esperti i vari sommelier.

Malvasia, cabernet, merlot, sauvignon, cataratto, negramaro, nero d’avola, primitivo, inzolia, chardonnay, barolo, dolcetto, orvieto, montepulciano, chianti, sirah, cannonau, vermentino, falanghina, ribolla, traminer, pinot, e si potrebbe continuare all’infinito, si potrebbero tracciare nuovi tratti e diverse nomenclature, si potrebbero esaltare i solfiti, il barrique delle botti, l’intensità della consistenza, la tavolozza delle tinte, ma si potrebbe direttamente versare un po’ di vino e alzare il calice e non avrebbe importanza immediata il passaporto di quello che siamo in procinto di assaporare.

Chi scopre il vino, chi si lascia intrigare, chi diviene curioso e chi ne va alla ricerca, chi si abbandona e si fa rigenerare e ancora chi sceglie di bere vino, con momenti più o meno costanti di insistenza e di prima necessità ha capito nel profondo il potere che questa bevanda sprigiona.

Non è un nettare per gente che si muove nel mondo e tra le cose con incertezza.

E qualora colui che dovesse esitare rispetto alla portata di un calice, verrebbe smentito una volta accostate le labbra e percepito il primo contatto, la prima intonazione di gusto, il primo afflato olfattivo, il primo amplesso con il palato e tutto quello che viene dopo.

Alessandro Baricco, nel suo saggio i Barbari, ha utilizzato il vino come emblema di una certa cultura, che caratterizza fortemente una fetta di occidente, L’Italia in primis, ma più ad ampio raggio un dato modo di vivere e di pensare, e quando descriveva il vino “Americano” o “holliwodiano” spiegava come non si possa improvvisare, come non si possa mentire e simulare un qualcosa che trova la sua progenie altrove, in un luogo preciso, e per quanto si possa sdradicare l’uva dal suo posto d’origine, si possa riproporre su altre terre, più fast food, o si possa creare un prodotto perfetto e uguale rispetto al datato nettare delle campagne italiche come francesi, quel vino sarà sempre un fake, perché privo di tutto ciò che di autentico è fatto, di quell’emozione, di quella storia, di quella fede e di quella intensità di cui il “nostro” vino si compone.

E non è una competizione provinciale o campanilistica, noi contro il resto del mondo, noi gelosi delle nostre bellezze e contro ogni tentativo di copiatura. Non è così semplice. È un processo che si snoda a parte, è un richiamo intimo e irrazionale che viene sancito tra le uve nostrane, il territorio specifico, la cura e il procedimento cadenzato e perfetto con cui si va a determinare quel vino piuttosto che un altro, è la tradizione e la ricerca, è l’amore incondizionato e fruito con vocaboli perfetti e spesso segreti. Non è un jeans o un modello di telefonino facilmente replicabile.

Il vino ha tutto un altro spartito, e per quanto si possa provare a risuonare quella musica, cercando di rimanere il più fedele possibile all’originale, non potrà mai essere ricreato alla perfezione il concerto intonato solo da palati amplificati e cresciuti con ataviche abitudini, che sono nati da quella terra e sono progrediti con quella struttura, con quegli odori, con quelle emozioni.

The freak vuole rendere omaggio al Vino, attraverso la scansione consueta di musica e parole e attraverso le scelte enologiche dei freak’s che hanno decretato il loro manifesto amore verso il nettare dal piglio quasi immortale che coinvolge e spesso piacevolmente sconvolge gli animi pagani.

Preparatevi a scoprire i gusti vinicoli dei ragazzi di the freak e la loro personale colonna sonora che si sposa meravigliosamente con il vino selezionato. E come direbbe Mario Soldati, il “vino è la poesia della terra”

Buon ascolto e buona bevuta

La Vie en Rose – Edith Piaf   Vino: Sirah di Sicilia Rosso

L’avvelenata – Francesco Guccini  Vino: Primitivo di Manduria Rosso

Perfect Day – Lou Reed  Vino: Nero D’avola Sicilia Rosso

Ultimo amore – Vinicio Capossela Vino: Regaleali Sicilia Bianco (inzolia,greganico, cataratto)

Roxanne – Ewan Mc Gregor (Moulin Rouge) Vino : Gewurztraminer Alto-Adige Bianco

Salento – Rene Aubry  Vino: Sum Uve Susumaniello Torre Guaceto Salento 2008 Rosso

Alle prese con una verde milonga – Paolo Conte Vino: Milleunanotte Donna Fugata Nero D’avola Sicilia 2007 Rosso

A mano a mano – Rino Gaetano Vino: Cannonau di Sardegna Rosso

Shenandoah – Keith Jarrett  Vino:  Genesi Vermentino di Gallura Dogc 2011 Bianco


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