Credo di aver sentito l’aggettivo “amazing” (fantastico) troppo di frequente nell’ultimo mese. L’uso accresce l’organo, il disuso lo fa regredire. Forse questa ostinazione nel definire notevole ciò che di fatto non lo è, tanto da renderlo tale, mi può aiutare a comprendere la fascinazione diffusa verso The future, l’ultima fatica cinematografica di Miranda July.
E che fatica, mi si conceda.
Non ho mai taciuto la mia violenta avversione per lo “stile’ della signora Miranda July. La trovo posticcia, cervellotica, inerte e forzata. Penso che Me and you and everyone we know (2005) abbia sollevato in me sentimenti di indignazione talmente potenti, da rivaleggiare solo con l’eccitazione politica degli anni del liceo. Detesto quel film, e questa sfortunata esperienza ha compromesso ogni mio possibile futuro godimento della produzione cinematografica della regista e sceneggiatrice americana.
Ma desidero onestamente capire quella che, anticipo, ritengo un’allucinazione collettiva. Sentenziare senza cognizione di causa è intollerabile ed immorale, per quanto mi riguarda. Ragion per cui mi sono portata al cinema, ho sborsato undici dollaroni ed ho assistito allo spettacolo.
Devo inoltre ammettere che la mia tetragona convinzione che Miranda July fosse un gran bluff è stata messa a durissima prova dall’abile confezionamento del trailer di The future.
È sempre frustrante quando il trailer tradisce il film. Peggio ancora quando è migliore. Devastante quando risulta essere l’unica cosa buona della pellicola.
Ma sarebbe ingiusto dire che davvero il trailer è tutto ciò che si può salvare di The future. Anche il micio si salva. Per la precisione, le zampette del micio e la sua tragica erlebnis.
Pawpaw è un american domestic shorthair, un micio alla Gatto Silvestro per intenderci. Pawpaw ha vissuto tutta la sua vita in strada, facendo la spola tra case di padroni non amorevoli che si sono liberati di lui alla prima pipì fuori posto. Ora Pawpaw ha una zampetta rotta, ha poco da vivere e si trova in stallo in un gattile di Los Angeles. Pawpaw non è un micio qualunque. Parla. E le sue non sono mai parole in libertà.
Sulla strada di Pawpaw capita una coppia di trentacinquenni in conclamata crisi di mezza età. Sophie (Miranda July) è un’insegnante di danza non troppo dotata, Jason (Hamish Linklater) un tecnico informatico che può fermare il tempo con la sola imposizione delle mani. La scelta di adottare Pawpaw pone i due di fronte ad una serie di interrogativi esistenziali spinosi, ed un’amara riflessione su cosa si è fatto della propria vita è purtroppo compresa nel pacchetto.
Jason cerca di reagire alla confusione diventando un attivista ambientale sui generis, Sophie sceglie la via dei sensi e diventa l’amante di un americano medio, commerciante di insegne e cartelloni.
Messa così, The future si pone come un banalissimo dramma domestico, una di quelle pellicole minimal-correct che tanto piacciono ai lefty americani. Ovviamente non è questo il caso, perché Miranda July ha una reputazione da mantenere. E quindi via di soluzioni drammaturgiche soprannaturali, lune parlanti, indumenti animati e soprattutto una spolverata di Martha Graham.
Me and you and everyone we know (2005) rappresenta la matrice estetica di quel “quirky and cutesy” (strano e carino) Cinema che tanti avrebbero poi emulato – da Juno (2007) a 500 days of Summer (2009). Il film dettò degli standard, con i suoi personaggi dall’Asperger’s sussurrato, i riferimenti culturali radical-chic e la passione per la normalizzazione del paradosso. La pellicola ebbe un enorme successo, soprattutto grazie al fatto che riusciva a mantenere un centro emozionale forte, al quale bene o male il pubblico riusciva a rispondere.
Ciò non accade in The future. Nonostante Pawpaw, ahimè.
The future è gelido ed insignificante, nel senso che non produce senso. E non provoca neppure tutte quelle belle riflessioni per le quali è stato tanto accuratamente congeniato. Non è buffo, né divertente. È un divertissement privato, dove Miranda July dà libero sfogo all’autocelebrazione: “vedete io sono una scrittrice ed anche un’attrice e guardate un po’, so anche fare la spaccata”.
The future non muove e non provoca. È noioso, intellettualoide e nonostante alcune trovate “graziose”, non arriva mai al cuore. E neppure alla mente.
A tutt’oggi per me risulta assolutamente incomprensibile come una cineasta media come Miranda July raccolga così tanti consensi. È pur vero che basta ben poco per fare il trucco. Animali parlanti e colori pastello vincono sempre. Ma è davvero tutto ciò di cui siamo capaci? Insomma è come dire o si fa la violenza barocca – Drive (2011) – o si fa il mercatino del bric-a-brac – The future.
Vorrei azzardare una teoria. Io credo che sia un problema generazionale. Una questione di esprit du temps, se non sono eccessiva. Io vivo a Brooklyn, in un quartiere molto alla moda. Camminare per Williamsburg è come camminare su di un set di Miranda July: tutti questi personaggi eccentrici per scelta e con grande sforzo, questo stile “eclettico” che combina il vintage – mannaggia a Vogue America – il trovarobato, incrostazioni dell’era pop e il radicalismo da suppellettile.
Ed è così che Miranda July filma le sue pellicole: dettagli a profusione, estetica della carineria e del bislacco, trionfo dell’ironia da secchione, bibliofilia e citazionismo.
Rimane da capire dove, e se, lo stomaco – e qualche altro organo – possano trovare spazio in tutto questo.
Stefania Paolini