Uomini che odiano le donne (Män som hatar kvinnor) di Stieg Larsson è un po' come la Bibbia o l'ultimo libro di Fabio Volo: devi vivere sulla luna per non averne mai sentito parlare. Ed è stato anche il primo vagito di un'invasione in libreria di romanzi, decenti, indecenti, ottimi, venuti dalla Svezia, una mania thriller sfumata tanto veloce da non lasciare ricordi.
Il miglior risultato di questa ondata di gialli resta senza dubbio il romanzo di Larsson, primo di una trilogia, la cosidetta Millennium, dal nome del tabloit giornalistico del protagonista Mikael Blomkvist. A seguire La ragazza che giocava col fuoco (Flickan som lekte med elden) e La regina dei castelli di carta (Luftslottet som sprängdes), incentrati questa volta più sulla figura ambigua e affascinante di Lisbeth Salander, hacker dal passato luttuoso, che su quella del giornalista Blomkvist. D'altronde lo si capisce fin dal primo romanzo che Lisbeth Salander è uno di quei personaggi che resta appiccicato alla memoria più del valore oggettivo dell'opera, alla fine un thriller politico che libro dopo libro ha cercato di ingarbugliare il semplice plot con troppa carne al fuoco. Di Män som hatar kvinnor esiste una serie tv di successo promossa al cinema in versioni più corte di mezz'ora che comprende pure Flickan som lekte med elden e Luftslottet som sprängdes. Se il primo film o frammento, girato da Niels Arden Oplev aveva la consistenza di un'opera dal respiro cinematografico, con alcune sequenze di rara ferocia come lo stupro di Lisbeth da parte di un pervertito tutore, gli altri due, ad opera di Daniel Alfredson, peccavano di un'evidente paratelevisività con ritmo alla Derrick. Ma cosa resta di queste tre opere? Ovvio, la performance di Noomi Rapace, la perfetta Lisbeth Salander dello schermo, affascinante, dark, feroce. Perfetta fino a Rooney Mara s'intende.
Ecco che arriva David Fincher, autore un po' caduto nella disgrazia dell'anonimato, il tempo delle feroci mutilazioni di Seven o i pugni di Fight club hanno lasciato spazio a più accomodanti storie d'amore e progenia o biopic interessanti quanto inutili come The Social Network. Eccolo che David, l'auteur disgraziato dell'Alien più maledetto, quello al cubo, lo sgraziato trapezista del thriller più scombinato degli anni 90, The game, il genio che ha messo in una stanza blindata l'odiosa Jodie Foster, tira fuori le unghie, e dopo l'ottimo, non capito, ad un passo dal capolavoro, Zodiac, confeziona sì un'opera commerciale, ma, Madonna Santa, con che classe.
E' lo stesso film visto nel 2009, solo con attori migliori, solo con una regia che non si accontenta di essere diligente, ma è esplosiva. E non è poco.
Niels Arden Oplev era un cuoco da mensa, David Fincher è uno chef d'alta classe, gli ingredienti usati sono gli stessi, non si può dire da una parte si è mangiato male, si è soddisfatti comunque, ma è solo con Fincher che degustando la ratatouille, come nel cartone di Brad Bird, si aprono i cancelli del cielo.
L'intelligenza del remake/trasposizione letteraria è data dalla scelta, per certi versi coraggiosa e anti commerciale, di non spostare la cornice della vicenda dall'Europa all'America, come per i rifacimenti a stelle e strisce di, per dirne due, Nikita di Luc Besson (Nome in codice Nina di John Badham) e Wicker man di Robin Hardy (Il prescelto di Neil La Bute). Quindi rimane la Svezia con il suo inverno rigido in una sorta di innovativo gotico dove la claustrofobia è data non tanto da enormi castelli popolati di fantasmi, ma dall'impossibilità per il freddo o le intemperie di potersi muovere da luoghi ostili.
Millennium: uomini che odiano le donne ti colpisce fin dai titoli di testa alla James Bond in acido. Ecco che in quei pochi secondi nero pece vediamo le immagini future nascere e morire neanche fossimo in una poesia di Dylan Thomas, l'amore diventa l'urlo di una donna e ancora il sudore sui tasti sono filo spinato su un viso urlante. C'è musica industrial? Heavy metal? Classica? Che importa mentre ci concentriamo sul grido.
A dire il vero il cuore del film, la trama gialla, è banalotta per gli spettatori più sgamati, ma serve a sancire legami importanti tra i due protagonisti, Mikael e Lisbeth, la loro storia d'amore mai gestita in modo così poco romantico in un film per masse.
E poi... Poi c'è Rooney Mara. Lasciamo stare un Daniel Craig da arredamento, una Robin Wright incartapecorita, c'è Rooney Mara, una perfetta signora nessuno, eppure da sola è l'80 per cento del film. Riesce nel compito, difficile, impossibile, di far dimenticare la Noomi Rapace del precedente adattamento e lo fa con uno sguardo sommesso da bambina malnutrita. Rooney Mara sembra uscita da un book di Tim Burton, il suo mondo fatto di bambini ostrica abbandonati da genitori orchi, percorso da freak d'immensa bellezza. È l'incontro impossibile con l'universo di Clive Barker a generare questa nuova Lisbeth Salander in versione cenobita triste. Certo la Rapace era bella, era aggressiva, era dark, ma Rooney Mara è oltre la Rapace, è oltre una performance attoriale, è la Lisbeth Salander di Stieg Larsson, il ruolo è cucito sulla sua carne martoriata di pearcing e tatuaggi. Guardiamola mentre si lascia usare, guardiamola mentre la bruciano: eccola che diventa una pantera, gli occhiali tondi, l'inchiostro come avesse una saldatrice, Io sono un porco stupratore, Lisbeth ridiventa piccola all'improvviso.
Millennium: uomini che odiano le donne è un film nato per ragioni commerciali, lo stesso Fincher dichiarò di avere accettato per motivi strettamente economici, eppure è una di quelle opere che ti catturano, dalle quali non ti aspetti niente eppure ti lasciano la bava alla bocca, lo sguardo un po' ebete mentre ti ripeti Wow. Wow la regia, wow come è raccontata la storia, wow gli attori, wow l'atmosfera.
Era il 1994 quando hai detto “Riuscirà Carlito a scappare”, ma poi esce fuori Benny Blanco che viene dal Bronx e lo uccide... ogni volta ti dici che ce la farà... Ogni volta, fosse anche la millesima volta che lo guardi.
E' questo il cinema.
Quando Lisbeth è sulla moto con quella giacca da regalare ti senti stringere il cuore. Dici “Lui la aspetta”.
E quante volte penserai “Lui la aspetterà”?
Keoma