Il regista koreano incentra la narrazione sulle vicende di tre personaggi, sostituendo “il brutto” con “lo strano”, vera anima della pellicola. Nella Manchuria del 1930 la situazione è disastrosa: il territorio è occupato dalle truppe giapponesi, e la legge del più forte è l'unica a prevalere. Dopo l'incipit iniziale della presentazione dei tre protagonisti, identica al film originale, lo strano (Song Kang-ho) rapina un treno, ed in mano ad un ufficiale, ritrova la mappa di un tesoro, di cui il cattivo (Byung-hun Lee), un killer dandy, è alla ricerca. Un cacciatore di taglie, il buono (Do-Won), mira alla testa dello strano e del cattivo. L'azione frenetica porterà i tre banditi ad incontrare l'esercito giapponese e la criminalità organizzata, e li vedrà infine rivali in uno scontro finale per decidere le loro sorti.
Interpretare questo film significa capire il senso di che cosa è un remake: non può certo trattarsi di rigirare un film dopo molti anni, con la nuova tecnologia; sarebbe un restauro. E' alquanto sciocco scegliere il migliore tra un film che non si può non avere visto, l'immortale pellicola di Leone, e un film ad esso inspirato, fortemente consigliato.
Questo remake poco convenzionale fa spiccare una mano registica personale, dai colori vivaci e dai primi piani efficaci, rivitalizzando un genere, nato e ormai defunto, in un altro continente.
I tre personaggi su cui è basato il film son ben caratterizzati: lo strano, motore del film, sopperisce alle sue distrazioni con una fortuna propizia, generando i momenti più comici del film (indimenticabile la scena della nonna); il cattivo, è quasi una parodia di un eroe tragico-grottesco, ossessionato dal bello, tentato dalla ricchezza e dalle gloria; il buono invece rimane più anonimo seppur fondamentale. Non è più “il biondo” Clint Eastwood!
L'azione è portata alle stelle e sembra di vivere in un manga, grazie soprattutto alle arti marziali che affiancano i proiettili. Il film ha, ovviamente, perso quel senso epico del predecessore, scandito dalle massime dei protagonisti negli intermezzi tra una pallottola e la successiva; sono più rare e di ispirazione molto differente. Non siamo più nella giungla di Leone: sono gli ideali orientaleggianti a garantire la sopravvivenza, nella Manchuria degli anni trenta; tutti elementi che portano, nel finale, ad emozionanti colpi di scena. Oltre a far trascorrere due ore piacevolmente, il film di Jee-won, dovrebbe essere di esempio a qualunque regista volesse cimentarsi in un remake, tanti in tempi odierni: più che al risultato del koreano si dovrebbe guardare alle scadenti “copie numero due” di molti colossal del passato, e apprezzare di conseguenza “The good, the bad, the weird”.