The Grand Budapest Hotel

Creato il 10 giugno 2014 da Sweetamber

Mi sembrava giusto iniziare l’articolo con un’immagine sufficientemente esaustiva che presentasse tutti gli attori presenti in questo mastodontico film di Wes Anderson, durante il quale ogni istante è un oh! di sorpresa per la presenza di questo o quell’altro attore nelle vesti di un personaggio (anche marginale). Anche fra le comparse vi sono attori più o meno noti, tanto per dire.

Da dove si parte per recensire un film così ricco, nonché il primo di Anderson che vedo? Dalla meticolosa e maniacale cura per i dettagli, dall’assoluta perfezione di ogni singolo particolare a partire dall’attenzione per gli accostamenti di colore, per gli abiti dei protagonisti, per le scenografie, per il modo di muoversi e di agire di ogni personaggio: tutto è assolutamente calibrato per ottenere la più incredibile delle perfezioni. Anche il turpiloquio che talvolta esce dalla raffinata bocca di Monsieur Gustave è attentamente calibrato.

È un film che coniuga diversi generi senza risultare fastidioso né tantomeno eccedere nell’essere commedia allo stato puro o thriller allo stato puro. I personaggi sono ironici, caricaturali, divertiti dal loro stesso essere caricature di qualcosa che nella realtà esiste o è esistito, ma mille volte meno calcato. Wes Anderson conosce perfettamente i suoi attori feticcio, tanto da riuscire a cucire loro addosso ruoli che riescono non solo a divertire il pubblico, ma che divertono l’attore stesso. Adrien Brody è un perfetto malvagio dal naso adunco e dai modi da signorino viziato che si aggira per le stanze della sua futura enorme casa e dell’enorme Grand Budapest Hotel con il cappotto nero, il baffetto nero e il capello scompigliato da vero pazzo psicopatico, in compagnia del fedele tirapiedi Jopling (Willem Dafoe con grugno da mastino); Edward Norton ricorda il piccolo soldatino di piombo con quel copricapo e quel pelliccione grigio topo a capo delle ZZ (zig zag) squadron. E via così, con Lea Seydoux che interpreta una maliziosa cameriera francese al servizio di Madame D., Mathieu Amalric in tenuta total white che sgambetta sulle vette montuose per sfuggire al pericolo e un Ralph Fiennes che interpreta un meraviglioso ed impeccabile Monsieur Gustave.
Concierge amante delle donne (purché decrepite, ricchissime, vanesie e bionde) che giungono al Grand Budapest anche e soprattutto per lui, adoratore della fantasiosa Air de Panache che si spruzza in gran quantità più volte al giorno e che persiste nei nasi degli avventori dell’Hotel, gestisce con assoluta perfezione ogni dettaglio del Grand Budapest e impartisce consigli e suggerimenti allo staff dall’alto di un palchetto per conferenze collocato nello stretto e lungo refettorio a loro riservato dove, fra scope e ramazze, declama le sue lunghe ed ispirate poesie (altra sua grande fissazione).
A seguire M. Gustave con rispettosa reverenza c’è Zero (“I’m the new lobby boy”), il lobby boy instancabile e accondiscendente dai baffi disegnati (baffi che, effettivamente, quasi tutti i personaggi del film portano) e dallo sguardo insospettabilmente comunicativo che conosce più di un segreto nascosto accuratamente dalle porte bianco crema del Grand Budapest.

Non manca una tenera storia d’amore, in questo caso non tanto fra M. Gustave e Madame D., ma fra Zero e Agatha, la pasticcera di Mendl con la strana voglia (“a forma di Messico”) sul viso. I suoi dolcetti riescono a ingolosire perfino un irreprensibile guardia dello squadrone ZZ.

È un peccato seguitare a raccontare dei personaggi e del film, perché dilungarsi nei dettagli della storia significa, in questo caso, distruggerne la magia. The Grand Budapest Hotel va visto, preferibilmente in lingua originale per non perdersi le straordinarie performance degli attori (e la voce gutturale di Adrien Brody) e va, soprattutto, osservato. Al di là dei colori, della ben nota passione simmetrica di Wes Anderson e della perfezione dei costumi e delle scene, c’è anche un bel gioco alla ricerca del dettaglio e delle virgole che rendono questo film un ottimo film, checché ne blateri la boriosa critica cinematografica.


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