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The grand budapest hotel, film di wes anderson

Creato il 14 maggio 2014 da Postpopuli @PostPopuli

 

di Nicolò Venturen - ilcucchiaiononesiste88.wordpress.com 

The Grand Budapest Hotel, film di Wes Anderson

Sembra sempre il solito Wes Anderson, ci prova quasi gusto ad illuderti, poi ti rendi conto che spunta qualcosa di diverso. I movimenti di macchina così meccanicamente precisi diventano più complessi, la regia è così raffinata da permettersi di giocare con le sagome e le ombre di attori famosissimi fino a confondersi col cinema d’animazione e l’espressionismo tedesco – l’utilizzo della “vampiresca” fisicità di Willem Dafoe è incredibile – senza mai snaturarsi.

 

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Quello che soprattutto nella parte iniziale sembra un’esposizione fine a se stessa pian piano sostituisce la ripetitività con lo stupore, la freddezza con la passione.

Attraverso una non casuale struttura a scatole cinesi – che si serve forse un po’ troppo delle parole quando basterebbe la ricchezza delle immagini – si prende il suo tempo per descrivere la storia del concierge Gustave (Ralph Fiennes) e le avventure con il suo nuovo aiutante Zero Moustafa (l’esordiente Tony Revolori).

Se già per uno spettatore abituato al suo stile l’inizio può risultare incerto, per un esterno appassionarsi e accettare di entrare in quel mondo può essere molto più difficile. Il limite intrinseco del regista è che seguendo coerentemente la sua strada senza preoccuparsi delle conseguenze facilmente può non essere apprezzato da tutti.

Tuttavia un occhio attento potrà notare come ogni elemento proposto venga per la prima volta arricchito e nobilitato da uno sguardo più universale. L’aggiunta del passare degli anni all’equazione dà alla crescita del protagonista Zero e all’educazione ricevuta dal proprio capo e mentore il valore del ricordo e della malinconia che diventano celebrazione di quel briciolo di umanità che ancora sopravvive.

L’irresponsabilità sempre presente nella sfera degli adulti a cui non fa eccezione Ralph, viene ribaltata in un impeto di spavaldo coraggio pur con tragiche conseguenze. A dimostrazione di come anche in un mondo così apparentemente edulcorato, trovando il giusto equilibrio fra leggerezza e dramma, si possa affrontare qualsiasi tematica senza sembrare fasulli e rendere ancora più mortificante la crudeltà dell’uomo.

Anderson si conferma uno dei registi più interessanti da seguire. La speranza è che continui a migliorare, col suo talento potrebbe raccontare storie ancora più emozionanti che col suo tocco diverrebbero uniche.

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