The Grandmaster, il film sul kung fu che diventerà leggenda

Creato il 17 settembre 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

The Grandmaster è un film d’azione che racconta l’epopea del leggendario maestro di kung fu Ip Man. La storia è ambientata nella tumultuosa epoca repubblicana che seguì la caduta dell’ultima dinastia cinese: un’epoca di caos, divisioni e conflitti che fu anche l’età dell’oro delle arti marziali cinesi. Girato in una serie di straordinarie location, tra cui i paesaggi innevati del nord-est della Cina e le regioni sub-tropicali del sud, The Grandmaster è interpretato da alcuni dei divi cinematografici più famosi dei giorni nostri. Con The Grandmaster, Wong Kar – wai ha realizzato un film di kung fu assolutamente unico.

Grazie al lungo lavoro di ricerca preliminare e alla presenza sul set di un vero e proprio esercito di istruttori di kung fu, The Grandmaster è riuscito a rappresentare il mondo delle arti marziali cinesi e dei suoi protagonisti con un realismo senza precedenti. Le scene di combattimento sono state create dal famoso coreografo di arti marziali Yuen Wo Ping (Matrix, Kill Bill, La tigre e il dragone, ecc.). Per prepararsi ai loro ruoli, i tre interpreti principali del film – Tony Leung, Ziyi Zhang e Chang Chen – si sono sottoposti ad anni di intensi e durissimi allenamenti di kung fu.

La fotografia è del francese Philippe Le Sourd, le scene e i costumi di William Chang Suk Ping e Alfred Yau Wai Ming, due collaboratori di vecchia data del regista. The Grandmaster apre un nuovo capitolo non soltanto nel genere cinematografico dei film di arti marziali, ma nella fortunata carriera del regista Wong Kar – wai.

LA STORIALa freccia non torna mai all’arco.

Il film inizia con la storia di Ip Man (Tony Leung), il leggendario maestro di Bruce Lee e della scuola di kung fu Wing Chun, e si trasforma in un grande affresco di un’epoca e di un mondo scomparsi. Ip Man nasce a Foshan, nel sud della Cina, in una famiglia benestante. Sua moglie Zhang Yongcheng (Song Hye Kyo) è una discendente della dinastia Manciù. Come ogni appassionato di Wing Chun, frequenta il Padiglione d’Oro, un elegante bordello dove si incontrano i maestri di kung fu di Foshan, e dove anche le donne custodiscono alcuni segreti delle arti marziali. Nel 1936 la Cina è alle prese con alcune turbolenze politiche e con la minaccia della divisione. I giapponesi hanno invaso le provincie del nord-est, meglio note come Manciuria. Costretto a lasciare la Manciuria occupata, arriva a Foshan il Gran Maestro delle arti marziali della Cina del nord, Gong Baosen (Wang Qingxiang). C’è già stato in passato, per favorire gli scambi tra artisti marziali del nord e del sud, ma questa volta viene a festeggiare al Padiglione d’Oro il suo imminente ritiro.

La cerimonia prevede una sfida e una sua esibizione di arti marziali con un uomo più giovane. Nel corso di un evento analogo che si era tenuto al nord, il ruolo del concorrente era toccato al discepolo e successore di Gong, Ma San (Zhang Jin). Per assistere alla cerimonia arriva anche la figlia del vecchio maestro, Gong Er (Ziyi Zhang), unica erede della micidiale “tecnica delle 64 mani”, dello stile Bagua, creata da Baosen. E qui incontrerà Ip Man.

Chi ha le carte in regola per accettare la sfida del Gran Maestro? Di sfida in sfida, i maestri si misurano gli uni con gli altri. Nel frattempo, l’occupazione giapponese del nord-est prepara il terreno per un tradimento che sconvolgerà il mondo del maestro Gong. E costringerà sua figlia Gong Er a prendere una decisione che cambierà il corso della sua vita. Gong Er e Ip Man si incontrano di nuovo negli anni cinquanta, a Hong Kong: un nuovo mondo popolato da vecchie alleanze, risentimenti duri a morire e frammenti di vite e desideri passati. Dopo che i giapponesi hanno invaso Foshan, Ip Man vive anni duri e terribili, senza mai lasciarsi piegare dalle avversità.  Apre  una scuola di Wing Chun a Hong Kong, e ben presto conquista molti discepoli devoti (tra cui Bruce Lee) e diffonde questa forma di kung fu, che è ancora insegnata e praticata nelle scuole di arti marziali di tutto il mondo.

UNA PARTE DELL’INTERVISTA REALIZZATA A TONY LEUNG (che interpreta Ip Man)

La scrittrice e traduttrice Linda Jaivin ha incontrato Tony Leung a Bangkok, dove il film The Grandmaster era in post-produzione.

 LJ: Si è parlato molto dell’allenamento fisico a cui si è sottoposto per affrontare il suo ruolo. Qual è stata la preparazione mentale?

TL: All’inizio il regista mi ha dato molti libri sui maestro di kung fu del nord della Cina, e un paio di cose su Ip Man.

LJ: Davvero? Credevo che fosse stato scritto molto su di lui…

TL: Infatti, ma a me il regista ha dato solo poche cose da leggere, e quasi tutte su Bruce Lee. Il personaggio doveva essere un misto di Ip Man e Bruce Lee. Sono più di dieci anni che collaboro con Wong Kar-wai e tra noi c’è una grossa fiducia reciproca. Il film non voleva essere un documentario, voleva proporre una sorta di Ip Man ideale, perfetto. L’idea che mi sono fatto di lui è che fosse una persona molto gentile e istruita, un gentiluomo, un fine pensatore. In combattimento si trasformava, diventava un altro, feroce, quasi animalesco. Una combinazione intrigante. Nasce ricco, figlio di proprietari terrieri, e fino a quarant’anni ha tutto. Poi va incontro a una serie di rovesci e di traumi durissimi, ma ogni volta si risolleva. Questo aspetto mi ha affascinato. E così, il risultato delle ricerche del regista su Ip Man e mie su Bruce Lee è stata una versione ideale di Ip Man, un personaggio molto positivo. Il più positivo che abbia mai interpretato in un film di Wong Kar-wai.

LJ: Prima di cominciare ad allenarsi che rapporto aveva col kung fu?

TL: Ero un fan di Bruce Lee, da piccolo. A sei o sette anni vedevo tutti i suoi film. Ma negli anni sessanta ci dicevano che il kung fu era praticato solo da due categorie di persone: i poliziotti e i gangster. (RIDE) Io lo associavo a risse e scazzottate o ai film. Soltanto preparandomi a questo ruolo ho cominciato a capire che cosa fosse davvero. Sono stati quattro anni molto duri, ma anche gratificanti e illuminanti. Voglio mostrare ai giovani – e ai loro genitori – la vera essenza del kung fu, il suo spirito più autentico. Il duro lavoro, la disciplina e l’allenamento mentale sono cose applicabili alla vita di tutti i giorni. In teoria, praticare il kung fu porta a qualcosa che somiglia allo zen: alla fine, cerchi l’armonia col tuo avversario, che non è un nemico più di quanto non lo sia il tuo ambiente. L’obiettivo non è vincere ma aprire la mente.

LJ: Come dice il Maestro Gong a sua figlia in una scena del film, quando la critica perché dà troppa importanza alla vittoria.

TL: Sì. (RIDE) In realtà quella scena non l’ho ancora vista! Ma è vero, ed è per questo che la tradizione del kung fu è sopravvissuta per quattromila anni. Non insegna solo a combattere. Se fosse così semplice, chiunque potrebbe diventare gran maestro. Girare questo film è stata un’esperienza straordinaria. Non avevo mai fatto un film così con Wong Kar-wai! Di solito interpreto personaggi tormentati e repressi. Questo, invece, è un personaggio così positivo! È stato molto piacevole. Certo, c’è anche la parte in cui scoppia la guerra e perdo tutto…

Fonte: 404 (Quattro Zero Quattro); Distribuzione film: BiM


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