Don’t believe the hype
E finalmente anche io ho visto “The green inferno”.
E finalmente anche io posso dire la mia.
Premessa: io impazzisco per il cinema di genere.
Quello bis, exploitation, soprattutto se italico, mi fa sbavare.
Se poi parliamo di cannibal-movies sclero completamente.
Quando penso ai cannibal-movies penso a Lenzi, a Martino, a Franco, ma soprattutto a lui. Ruggerone nazionale.
E quando pensi a questi signori e poi guardi Eli Roth, che tributa opere, immagini e opinioni, ti aspetti, per forza di cose, un lavoro egregio.
Te lo aspetti perché Eli e’ bravo, ti sta simpatico (piu’ come persona/personaggio che come regista) ama l’horror, lo sa fare, ed e’ amico di Deodato.
E allora poi succede che, come è successo a me, rischi di rimanerci male.
Perché diciamocelo, Green inferno, pur essendo un buon film, non è “quel” film.
Non è quello che ti aspettavi, non è (e nemmeno ci si avvicina lontanamente) quel “Cannibal holocaust” moderno che tutti volevamo che fosse.
Eli d’altronde l’aveva detto in tempi non sospetti, che il suo film, non sarebbe stato un riadattamento del piu’ famigerato Holocaust. Ma tu, che sei romantico e sognatore, un pochino ci speravi lo stesso.
Diciamocelo: la confezione e’ sontuosa, le riprese pure, l’amazzonia fa la sua porca figura, e i cannibali pitturati di rosso, dispersi nel verde più verde, sono una trovata da Artista. Con la A maiuscola.
Ma tolto questo, tolte le immagini stupende, tolta l’innegabile crescita del regista, e tolto (soprattutto) l’immenso hype a cui Roth ci ha abituato, rimane in sottofondo il pensierino triste di aver (in parte) sprecato un occasione gustosissima.
Alla faccia dei cannibali.