Alla base di tutto, vi è un’udienza del parlamento canadese (crf. Ultimissime 11/4/11) in cui sono stati ascoltati il dottor Vernon Quinsey, professore emerito di psicologia presso la Queen’s University e il dottor Hubert Van Gijseghem, ex professore di psicologia presso l’Università di Montreal e un intervento sulla Harvard Mental Health Letter, entrambi concordi nell’affermare che in qualità di «orientamento sessuale», la pedofilia è verosimilmente non correggibile. Incorreggibilità su cui Wesley Smith, giornalista del National Review Online, ironicamente concorda: è, infatti, per questo che «una volta rilasciati di prigione», i pedofili sono «registrati alla polizia» per essere sempre tracciati.
Quello che invece si può correggere, riporta il “Guardian”, è la «percezione sociale». Un «ampio cambiamento sociale è necessario», viene sostenuto nell’articolo, «lasciando che i pedofili siano dei membri ordinari della società», si aiuterà a proteggere i bambini. Si tratta fondamentalmente di normalizzare la pedofilia, venire a patti con la sua esistenza come declinazione naturale della sessualità umana, per “responsabilizzare” e valorizzare i pedofili che hanno volontariamente scelto l’autocontrollo ed aiutare chi non ci riesce. Tesi, questa, poco convincente per Smith per il quale, «molti [...] ricevono già aiuto per controllare i loro impulsi, prima di rovinare una vita», nondimeno, trasformare «l’aberrante ed il patologico in qualcosa di accettabile non aiuterà a proteggere i bambini». Ma a preoccupare davvero Smith è quella che lui definisce come ‘acriticità morale terminale’, ovvero il lento ed inesorabile passaggio dalla proibizione all’accettazione. «Se una visione del genere dovesse entrare nell’opinione pubblica -e ci sembra vicina-», conclude, «siamo sulla strada per la morte culturale».