The Handmaid’s Tale di Margaret Atwood

Creato il 17 agosto 2015 da Anncleire @anncleire



It’s impossible to say a thing exactly the way it was, because what you say can never be exact, you always have to leave something out, there are too many parts, sides, crosscurrents, nuances; too many gestures, which could mean this or that, too many shapes which can never be fully described, too many flavours, in the air or on the tongue, half-colours, too many.



The Handmaid’s Tale è il romanzo distopico di Margaret Atwood tradotto in italiano come “Il Racconto dell'Ancella. Era da parecchio tempo che volevo leggerlo, da quando la mia amica L. me ne aveva parlato in una delle nostre mille conversazioni librose. Poi un po’ per pigrizia un po’ per mancanza di tempo ho sempre rimandato la lettura. Poi finalmente grazie al Ancella Read Along che ho organizzato con Lorena di Petrichor sono riuscita finalmente a prenderlo in mano. E mi è piaciuto molto, nonostante sia di un inquietante unico, ma anche assolutamente sconvolgente.



In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Difred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un dovere da compiere nella neonata Repubblica di Galaad: garantire una discendenza alla élite dominante. Il regime monoteocratico di questa società del futuro, infatti, è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che, dopo la catastrofe, sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e, forse, il successo di una ribellione. Comparso per la prima volta in Italia negli anni Ottanta, il romanzo della Atwood conserva tutt’oggi la sua attualità. Mito, metafora e storia si fondono per sferrare una satira energica contro i regimi totalitari. Ma non solo: c’è anche la volontà di colpire, con tagliente ironia, il cuore di una società meschinamente puritana che, dietro il paravento di tabù istituzionalizzati, fonda la sua legge brutale sull’intreccio tra sessualità e politica.



Le distopie sono incredibili per la forza del loro messaggio. Se ben scritte riescono ad arrivare ad aprire le cosscienze e allarmare il lettore con problemi agghiaccianti. La Atwood vive nel periodo della guerra fredda e inizia a scrivere a Berlino Ovest, nel 1984, in un clima teso in cui il pericolo nucleare è ben delineato. Se l'infertilità diventa un problema grave con la crescita zero come fare a risolverlo? Le premesse trasformano il libro in una storia estremamente inquietante. Ma proprio tanto eh. Mentre leggevo avevo i brividi. È un mondo davvero molto catastrofico quello descritto dalla Atwood ed è talmente verosimile da risultare di un realismo sconvolgente.  La crisi tecnologica, l’aumento della sterilità, il ritorno ad un mondo più semplice, con un culto religioso forte, che giustifica, in qualche modo assurdo, le scelte operate dal governo centrale, i ricchi che dispiegano una forza insospettabile nei confronti di chi non può ottemperare alla richiesta più forte di questa società distopica, quella della procreazione. In un crescendo spaventoso la fertilità è diventata un miraggio e le donne sono sfruttate proprio per concepire. Come? In maniera ignobile. Ma o sforni bambini o non vali niente e in uno scambio che lascia raccapricciati, si da per ricevere un minimo di tranquillità e sicurezza, ma per lo più queste donne capaci di portare in grembo la vita sono considerate alla stregua di schiave, viste con sospetto dalle mogli facoltose ma incapaci di concepire. 

La storia è raccontata in prima persona dalla protagonista Difred, in una sorta di diario/confessione concitato e frammentato. Pochi sono i riferimenti, poche le notizie che la donna ci regala, soprattutto considerando che lei, da ancella, viene completamente depersonalizzata, è solo uno strumento per permettere a famiglie facoltose di concepire. Difred è una donna sconfitta, privata della sua forza e delle persone che ama, in modo definitivo. Vegeta in questa vita spenta, quasi indifferente a ciò che le succede. Vive in funzione di una speranza, quella di ricevere un messaggio che le consegni una chiave per ritrovare le persone che ama. Il regime la priva di tutto, nella convinzione che la donna non sia nulla e non abbia nessun diritto. Disprezzata anche dalla moglie del comandate che la tiene in casa, Serena Joy, Difred ricorda con una certa lucidità i momenti che hanno segnato la sua vita, rimpiangendo la serenità che aveva conquistato. La lotta tra speranza e rassegnazione si consuma mentre svolge le sue faccende e si ritrova a soddisfare le richieste del comandante e la sua brama di provare qualcosa. Tutto risulta molto triste, incassato in una società dai riti non ancora consolidati, da un regime che lotta per insediarsi e sopprimere ogni forma di protesta. 

Anche la Resistenza con cui Difred viene in contatto è ancora mal organizzata e vive in un periodo in cui la Repubblica non è ancora stabile e questo è un particolare che ho molto apprezzato. Generalmente infatti nelle distopie si è sempre nel periodo più fulgido di una dittatura di stampo totalitario, qui, al contrario, siamo ancora agli albori, a dimostrazione che niente nasce perfetto e tutto deve essere migliorato sulla pelle dei poveri cittadini indifesi, che si ritrovano a subire le torture fisiche e mentali di alcuni invasati che vogliono cambiare il mondo. 

Tutti i personaggi, però, risultano avere un ruolo ben definito e molto preciso nella storia, e di certo una menzione la merita Moira, una delle migliori amiche di Difred. Moira è fondamentalmente una ribelle, una che realizza un piano per scappare e si libera del giogo dello status di Ancella, salvo poi ritrovarsi invischiata nel sistema. Quello che mi ha sconvolto maggiormente è stato il suo cambiare e abituarsi al suo nuovo ruolo. Quella sconfitta mentale, quell’atteggiamento di rinuncia che la porta a pensare che “si in fondo non si sta poi così male” tipico di chi non vuole più lottare. Il che è anche peggio di chi si arrende in partenza. 

L’ambientazione risulta in certa, sappiamo solo che ci troviamo negli Stati Uniti trasformati dal giogo della dittatura di regime. Una cittadina come tante, soffocata nella sua libertà e costretta a perdersi in una continua mortificazione della donna, colpevole di non generare prole.