Le storie d’amore sono un po’ come i libri.
Non libri qualsiasi.
Chiaramente non quelli impacchettati.
E non certo quelli con le fascette che pubblicizzano il film appena uscito, con quel terribile “da cui è stato tratto”.
Sono i libri delle biblioteche.
Pensate alle librerie.
Feltrinelli, un classico.
I volumi sono nuovi e intonsi, oggetti immacolati senz’anima.
Ci si va quasi sempre con un’idea precisa di cosa si desidera. Si chiede ad un commesso, che con grande competenza cerca il libro nel database del computer.
Poi lo va a prendere e ce lo porta direttamente alla cassa. Noi paghiamo l’obolo e, con grande soddisfazione, ci viene ricaricata la tessera a punti.
Efficienza svizzera, come la società del progresso richiede.
Nelle biblioteche i libri sono ugualmente numerosi, spesso ce ne sono anche meno.
Ma le storie che contengono all’interno, quelle sono milioni.
Ovviamente prima di tutto ci sono le parole e la personalità dell’autore, le sue idee, la sua inventiva, a volte il suo genio.
Ore, mesi, anni passati di fronte ad un foglio di carta, una macchina da scrivere o un portatile, cercando di trasformare l’irraggiungibile complessità di ciò che elabora la mente in parole che possano essere comprese da altri.
Ma fra le righe intrappolano molto, molto di più.
Ci sono tutti i pensieri delle persone che li hanno letti, e ne sono state affascinate, rapite o deluse.
Ci sono tutte le lacrime, gli spaventi, la rabbia o la noia che ha provato chi ne ha sfogliato le pagine.
In biblioteca non si ha quasi mai un obiettivo specifico e premeditato.
I libri si sfogliano, si guardano, si scorre lo sguardo, ci si blocca e si passa oltre in pochi istanti. Ma basta poco per fermarsi.
In una miriade di volumi c’è sempre quel qualcosa che cattura l’attenzione, che fa guizzare lo sguardo senza apparente motivo.
E allora si estrae il libro dallo scaffale, con l’energia che maschera il dubbio, non sapendo bene cosa aspettarsi.
Lo si gira fra le mani, si legge la quarta di copertina, si sfogliano le pagine e si smozzica qualche frase qua e là.
Sono piccole cose, anche stupide, come l’interlinea o il font scelto dalla case editrice. La copertina è certamente importante, ma non quanto lo è nei libri appena stampati, che puntano tutto sul catturare con la pura estetica.
I libri delle biblioteche sono sporchi, spesso rovinati, a volte scarabocchiati, mancano della lucentezza dei loro colleghi appena usciti dal concessionario.
Ma hanno una bellezza molto più profonda, fatta di odori penetranti, dita che pigiano, pensieri fissati in fretta con una matita.
E’ la meravigliosa imperfezione di tutto ciò che vive.
E poi con titubanza si comincia la lettura.
Si concatenano le parole una dopo l’altra, trasformando una ragnatela informe di fatti, luoghi e persone in un mosaico più o meno ordinato, ma a cui mancano sempre dei tasselli.
Con alcuni è semplice.
Sono harmony con poche pretese, cliché ripetuti fino alla nausea. Vengono a noia presto, come il ritornello di una canzone ascoltata troppe volte.
Altri sono avventure appassionanti, di quelle che intrappolano dalla prima pagina e costringono a portarsi dietro il volume anche in bagno.
Sono quelli che i critici definiscono “ottimi romanzi di genere”, e nonostante vivano sempre di format relativamente standardizzati, senza il genio che contraddistingue i capolavori, hanno quel qualcosa che ci fa bruciare dal desiderio di averne di più.
E ci sono quei libri un po’ complicati, che ingranano lentamente.
Sono fumosi e contorti e ci costringono a scervellarci (e a questo preferiamo di gran lunga la narrativa spicciola e intrigante).
Però c’è qualcosa che ci impedisce di abbandonarli sul comodino, che ci fa proseguire.
E se si ha pazienza, e le giuste dosi di costanza e sensibilità, riescono a dare un’incredibile soddisfazione.
Si scopre che dietro quella patina incomprensibile si nasconde qualcosa di grandioso, qualcosa che una volta andati a fondo fila che è un piacere, riempiendo di idee la testa e di emozioni il cuore.
E di solito sono i libri che cambiano la vita.
Anche i lettori sono incredibilmente diversi fra loro.
Ci sono i bulimici che ne macinano decine alla volta e si dimenticano i titoli dopo una settimana.
C’è chi sceglie con cura addirittura eccessiva, per timore di avere sgradite sorprese, e si accontenta di un piccolo parco di emozioni ben selezionate.
Alcune persone si fanno prendere come se i fatti raccontati in quelle pagine accadessero a loro.
E quando i libri sono troppo belli hanno paura di finirli, sapendo che una volta chiusa l’ultima pagina si sentiranno soli, abbandonati al fraddo della cruda realtà.
Ma ci sono anche quelli che leggono romanzi come se studiassero manuali universitari, con metodo, distacco e senso critico, e ad ogni pagina girata c’è già una potenziale recensione che viene costruita come un puzzle.
Di solito queste persone hanno sempre opioni molto chiare e pertinenti, mai che siano confusi o colpiti, nel bene o nel male, dalle parole che leggono.
Ma anche questi professionisti della lettura ogni tanto hanno un guizzo d’invidia, di fronte alle semplici quando profonde emozioni degli eterni sognatori che piangono alla fine dei libri.
L’unica cosa in comune è il fatto che in fondo tutte queste persone leggono perchè amano farlo, e ognuno a modo suo ne sente un bisogno costante.
E’ come un’esigenza vitale, un desiderio di assorbire emozioni come spugne.
Ma il problema è che i libri della biblioteca vanno restituiti.
Che ci siano scivolati addosso come un fiacco divertissment o che ci abbiano sconvolto fino alle lacrime non cambia molto.
Sono oggetti che in realtà non sono oggetti.
Sono fatti di carta ma sono vivi, grazie alle anime che hanno toccato e che toccheranno.
E’ un’immensa osmosi di pensieri e parole invece che di carne e sangue.
E ciò che è vivo non si può trattenere, non ne si può rivendicare l’esclusivo possesso.
I libri bisogna restituirli perché si muovano. Devono girare per tante mani, incamerare personalità e influenzarne altre.
Bisogna che la vita giri, per svegliarne altra dal sonno dei sensi.
Le sensazioni provate rimarrano immutate dentro di noi, anche quando ciò che l’ha provocato sarà lontano e sfumato nei ricordi.
Come quei libri di cui ricordiamo sempre le sensazioni, anche se i particolari della trama ormai si perdono nelle pieghe della memoria.
E’ la cosa più bella, uscire da lì con le mani vuote, ma più ricchi di prima.
Ma poi diciamola tutta..
Io, quando trovo un libro speciale, con una storia che mi entra davvero dentro, col cazzo che lo restituisco.
Me lo tengo ben stretto, anche se la bibliotecaria telefona cinquanta volte perché ci sono altri che lo richiedono.
Sarò uno stronzo egoista, ma certe perle le trovi una volta sola.
Il resto del mondo può aspettare.