The Illusionists: Magiche Scatole Cinesi

Creato il 28 novembre 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Silvia Medeossi

Una locandina che mi colpisce perché mi ricorda il film Now You See Me è già un invito accattivante per la prima di una rappresentazione innovativa. The Illusionists – Witness the Impossible approda in Italia dopo aver calcato i palchi di mezza Europa, lanciato dal debutto alla Sydney Opera House. Io me lo gusto al Rossetti di Trieste, teatro che mi sembra sfoderare il suo fascino ancestrale ogni volta che mi ospita. Così ha fatto anche uno show che potrei definire a scatole cinesi: uno dentro all’altro, i vari contenitori fanno a loro volta da sorgenti di altri contenuti, generando meraviglia su meraviglia e interesse su interesse. Dan Sperry (The Anti-Conjuror), Jinger Leigh (The Enchantress), Andrew Basso (The Escapologist), Mark Kalin (The Gentleman), Kevin James (The Inventor), Philip Escoffey (The Mentalist) e Jeff Hobson (The Trickster) sono i sette protagonisti di questo kolossal, sette tra i migliori maghi del mondo che, seguendo il solco della tradizione ma non disdegnando l’alta tecnologia, ci lasciano continuamente a bocca aperta. L’avvincente scaletta propone pillole di giochi di illusione di certo già visti più volte, specie da chi ama il genere, seppur con conclusioni inaspettate; ciò che cambia qui è la forma che viene sapientemente mescolata ad ironia, spettacolo, contatto con il pubblico, musica e danza. Il sipario, infatti, si apre per lasciare spazio ad una presenza fissa in scena ossia quella dei membri di una band californiana chiamata Z che, in un pop rock spesso intonato con fare da parodia, accompagnano musicalmente le singole esibizioni facendo da colonna sonora live perfettamente amalgamata al contesto e mai stonante in toni e volumi. Quando non c’è la presenza di un gentleman, giocoliere o prestidigitatore che sia, a guidare il cambio di numero e quindi di illusione proposta, è il corpo di ballo a fare da collante rendendo quasi l’atmosfera di un musical, anche grazie ai costumi indossati non solo dai sei ballerini.

Nella versione italiana, triestina in questo caso specifico, è Davide Calabrese (componente dei bravissimi Oblivion) ad interpretare ai lati del proscenio, quella figura ponte fra il pubblico e gli attori protagonisti, specie nelle parti in cui gli stessi sono costretti a dialogare, usando l’idioma d’Albione, con la platea per coinvolgerla, rattristando chi degusta anche la dolce prosodia inglese dello show quale valida forma di allenamento alla lingua, peraltro qui particolarmente di fluente comprensione. Le diverse figure sul palco interpretano vari look pensati per spettatori con target differenti, personificando non solo caratterialmente ma anche esteticamente l’immagine tipo del personaggio a cui fanno riferimento: l’emo rockettaro specialista in giocoleria simil horror; l’inventore romantico e sognatore che delizia la platea con numeri per cui ci si arrovella nel tentativo di smascherarne il trucco; il gentleman che sminuzza una bravissima contorsionista; il prestigiatore che dimostra più volte la sua abilità anche oratoria; l’italianissimo escapologo (Andrew Basso è difatti nato a Trento) che rapisce anche per le lunghe apnee in acqua. Eppure l’effetto più grottesco è stato quello scevro da scenografia, musica e coreografie: un mentalista che sfida la probabilità per regalare un numero riuscitissimo, pur con il coinvolgimento di partecipanti improvvisati, donando così ad uno spettacolo a suo modo romantico, graffiante, grintoso, ritmato e per nulla scontato, la personale ammirazione dei presenti, grati per un corroborante viaggio nella fantasia.


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