Le previsioni:
la classica storia del figliol prodigo, diventato uno squalo senza grossi valori nella grande città, che viene richiamato dove è cresciuto -nella profonda provincia americana- per la dipartita di un genitore. Lo scontro con l'altro, rimasto solo ma sempre burbero, con cui il rapporto non è mai stato di quelli significativi, si fa inevitabile sul piano morale e con il passato che mai viene dimenticato e sempre tirato in ballo per poi esserci spiegato solo nel finale.
Di mezzo devono per forza esserci una famiglia particolare, un amore di gioventù che torna a bussare alle porte del cuore, e una svolta che possa permettere a padre e figlio di confrontarsi, battersi, venirsi incontro e infine perdonarsi.
Qualche frase ad effetto qua e là, un po' di malattia che non fa mai male, e un bel happy end finale.
Il risultato:
la classica storia del figliol prodigo, Hank Palmer, diventato un avvocato di successo a Chicago che viene richiamato nella natale cittadina nel profondo Indiana per la morte improvvisa della madre. Qui lo scontro con il padre Joseph, burbero, con cui il rapporto non è mai stato di quelli significativi, si fa inevitabile, anche sul piano morale visto il rispetto per la giustizia di uno (giudice integro e integerrimo da 42 anni) e dell'altro (abituato a difendere i colpevoli e dar loro l'assoluzione per cavilli tecnici).
Di mezzo c'è una famiglia particolare fatta di un fratello con deficit mentale e un altro cresciuto nello stretto ruolo di fratello maggiore con troppi pesi sulle sue larghe spalle, e c'è un amore di gioventù che torna a bussare alle porte del cuore presentandosi pure con una figlia di cui non si conosce il padre.
Arriva poi la svolta, per la precisione un incidente che coinvolge il giudice Palmer, accusato di aver investito un poco di buono appena rilasciato (e da lui 20 anni prima condannato) che permette a padre e figlio di confrontarsi in aula, con Hank che difende come può un padre che sembra non volere una difesa.
Senza spoilerare troppo, si verranno incontro, si capiranno, il grande tormento del passato verrà finalmente a galla, e ci sarà un happy end.
Perchè vedere un film che già a scatola chiusa poteva essere previsto in ogni sua mossa?
Perchè l'Academy ha voluto giocare facile, inserendo la prova di Robert Duvall tra quelle da battere nella categoria Miglior Attore non Protagonista.
Duvall sa il fatto suo, e mettendoci di mezzo l'immancabile malattia, sempre quella maledetta grande C che costringe a prove fisiche oltre che di ingegno, ha conquistato i giurati.
Conquistare me è stato molto più difficile, e al di là di interpretazioni che lasciano comunque soddisfatti (Vera Farmiga si merita senza dubbi la citazione), The Judge resta uno di quei film che si possono tranquillamente trovare sotto la definizione di "americanata" ed è anche uno di quei film costruiti a tavolino, tra frasi ad effetto, primi piani intensi e giochi che la macchina da presa si permette, flashback e uso di musiche e di colpi di scena (oh, quanta irritazione per il vocio della folla durante il processo...) piazzati alla precisione per emozionare.
La stangata finale è data da un happy end non così happy, vero, ma comunque così perfettino e preciso che che gli vuoi dire?
L'unica nota positiva nell'aver recuperato un film simile, sta nell'aver riscoperto Robert Downey Jr, che per una non avvezza agli Iron Man o ai comic movie come me, è stato un bel rivedere.
Smorfie e egocentrismo compresi.