In questo Double Bill rivolgiamo la nostra attenzione su uno dei più grandi attori della storia del cinema, George C. Scott, e lo facciamo – come sempre – con due pellicole poco viste, ma di sicuro interesse per gli amanti del cinema anni Settanta. Scott, è un personaggio che meriterebbe molto più spazio di quello a disposizione, ma si può dire che prima di vincere l’oscar per Patton, le sue interpretazioni più memorabili si trovano nei classici Lo spaccone (1961, Robert Rossen) e Dr. Stranamore (1964, Stanley Kubrick). A partire dagli anni Settanta interpreta una serie di pellicole, di ogni genere, ma non sempre facilmente catalogabili come They might be Giants (di cui abbiamo già parlato nello speciale natalizio dedicato ai film ispirati a Sherlock Holmes), The Day of the Dolphin, Movie Movie, Rage e The Savage is loose, quest’ultimi due, anche da lui diretti e prodotti. The Last Run(da noi L’ultima fuga, 1971), pur essendo un crime movie piuttosto classico, risulta abbastanza insolito rispetto ad altri film americani del periodo. La trama è la seguente.
Harry Garmes (Scott) è un ex-gangster di Chicago, ritiratosi ad Albufeira, un piccolo paesino sulla costa portoghese. Non è chiaro se Harry si sia scelto l’esilio o se qualcosa l’abbia spinto a lasciare gli Stati Uniti. Fatto sta che, nove anni dopo, viene contattato per una nuova missione, che consiste nel portare un fuggiasco di nome Paul Rickard (Tony Musante) e la sua ragazza Claudie (Trish Van Devere) attraverso la Spagna e il Portogallo fino in Francia. Nonostante un brutto presentimento, Harry, stanco della sua esistenza quieta, accetta l’incarico. Durante il viaggio i tre hanno alle calcagna sia la polizia, sia gli ex-soci di Harry, rendendo la fuga sempre più disperata. Al contempo le dinamiche tra i tre protagonisti cambiano…
Le riprese di The Last Run iniziano con John Huston in cabina di regia, ma le tensioni tra quest’ultimo e Scott, nate anni prima sul set di La bibbia (1966), riprendono subito e Huston viene sostituito in fretta e furia con Richard Fleischer. Anche Tina Aumont, prevista per il ruolo di Claudie, si scontra con Scott e lascia il posto alla Van Devere. Fleischer era un ottimo regista, ma non era certo Huston, e quindi la butta sul versante dell’azione, uno dei suoi punti forti. Solo che in questo caso, forse per essere arrivato a riprese cominciate, non gli riesce a fare suo il film. Le scene d’inseguimento sono, inutile girarci attorno, tecnicamente mediocri e soprattutto poco coinvolgenti. L’inseguimento in luoghi aperti e senza ostacoli – quindi al dì fuori da aree metropolitane e tutto quello che ne consegue – emoziona poco, se non inscenato con assoluta maestria (vedi ad esempio Vanishing Point o Duel) e qui non ci siamo proprio. Va meglio il lavoro sui personaggi, soprattutto l’alchimia tra Scott e la Van Devere, fatto da attribuirsi probabilmente anche a quanto successo dietro alle quinte. Scott, all’epoca, infatti, era sposato per la seconda volta con Colleen Dewhurst, che ha anche un piccolo ruolo nel film come prostituta confidente di Harry. A fine riprese i due divorziano e Scott sposa la Van Devere, con cui reciterà in altri cinque film e alla quale rimarrà legato fino alla sua morte nel 1999. L’innamoramento diventa il vero fulcro della storia, tanto da essere tangibile durante la visione, catturando involontariamente un momento di pura tristezza tra Scott e la Dewhurst.
In conclusione quindi, The Last Run si assesta nella media del genere, eppure nonostante tutte le sue debolezze, rimane un film affascinante. Forse per la sua ambientazione europea, che sembra pesantemente influire sull’insieme, o forse per l’atmosfera tra il disilluso e la tragedia inevitabile. In ogni caso, la pellicola è da consigliarsi solo agli amanti del genere.
Dopo The Last Run, Scott regala due interpretazioni memorabili. Prima in The Hospital (1971, Arthur Hiller) e poi nell’ottimo The New Centurions (1972, questa volta con un Fleischer ispirato ai comandi), si imbatte in un soggetto che attira la sua attenzione, Rage. Il progetto lo coinvolge a tal punto da assumersene anche la regia, oltre che il ruolo di protagonista.
Durante una nottata all’aperto sulla loro proprietà, il rancher Dan Logan (Scott) e suo figlio Chris, sono casualmente esposti a un gas nervino, testato dal esercito nella stessa zona. Ricoverati in un ospedale militare, le condizioni di Chris peggiorano fino al decesso. Dan, tenuto separato dal figlio e all’oscuro di tutto, mostra segni dell’infezione che però sembra avanzare più lentamente. Dopo aver scoperto il corpo di Chris, capisce che medici, militari e il ministero della salute non hanno alcuna intenzione di assumersi le proprie responsabilità. L’interesse primario delle autorità, infatti, si limita a tenere sotto controllo la zona contagiata e rilevare gli effetti su uomini e animali, mantenendo il massimo riserbo sull’intera faccenda. A questo punto, Logan spinto dalla rabbia e dal dolore, fugge dall’ospedale e inizia una scia di attacchi terroristici contro tutti i coinvolti, in primis la compagnia che fabbrica il gas nervino.
La trama di Rage è ispirata al Dugway Sheep Incident, un esperimento di gas nervino, avvenuto nello Utah all’inizio degli anni Settanta in cui morirono migliaia capi di bestiame. In particolare il comportamento da parte delle autorità militari e sanitarie fa riferimento a quella e altri eventi simili verificatasi in quel periodo, soprattutto nell’ambito della guerra del Vietnam. La burocrazia senza volto, la collusione e la cover up tra le varie agenzie, l’attacco al sistema e la paranoia al suo apice negli Stati Uniti; Scott non si tira indietro di fronte ad alcun argomento spinoso e qui forse nasce anche il problema più grande di Rage. Gli splendidi venti minuti di apertura, tutti giocati sull’atmosfera, non danno troppo punti di appiglio, rendendo la tensione ancora più pesante e misteriosa. Una volta che si passa alla parte ambientata in ospedale, invece il pubblico riceve troppe informazioni. Quello che il protagonista sa a livello personale (ossia quasi nulla) e quello che scopre lo spettatore (ossia quasi tutto) porta a un dislivello emotivo, che si percepisce soprattutto nel finale, mentre la presa di posizione feroce del film, anche se giustificata, si scontra un po’ con la spettacolarità della pellicola. Inoltre, la vendetta personale, così come è stata inserita in un quadro molto più ampio, acquista un aspetto secondario. Non si realizza nessun tipo di vera catarsi per il pubblico, poiché la vendetta del singolo non risolve nulla, anzi il gesto finale sembra tragicamente irrilevante. Ma forse l’intenzione era proprio questa.
Con una certa sorpresa, Scott, che in precedenza aveva solo diretto il film televisivo The Andersonville Trial (1970) convince anche per quanto riguarda il lato puramente tecnico, permettendosi addirittura qualche esercizio di stile, in fondo neanche troppo gratuito. Due anni dopo avrebbe diretto la sua ultima regia, il curiosissimo The Savage is loose, da lui anche prodotto.
George C. Scott era un attore che non aveva paura di dire la sua o di essere politico, nel cinema come nella vita reale. In Rage, questo atteggiamento trova la sua espressione artistica perfetta. Un film da vedere e grazie alla solita Warner Archive Collection è finalmente disponibile in DVD.
Paolo Gilli