cast: Aaron Poole - Vanessa Redgrave - Julian Richings
regia: Rodrigo Gudiño
soggetto e sceneggiatura: Rodrigo Gudiño
musica: Mercan Dede
durata: 80 min
INEDITO
“Se ti cade un coltello sul pavimento, un uomo verrà a trovarti.
Se invece è un cucchiaio, sarà una donna.
Se cade una forchetta, non sarà né un uomo, né una donna.”
Quel luogo è sempre stato per lui fucina di dolore e tormenti; una magione che più che un rifugio era una prigione, un posto da cui fuggire. In quella casa il padre, uomo di chiesa, si era suicidato provocando nel giovane Leon un sofferto senso d’abbandono ed un allontanamento dalla fede. Allontanamento, anzi, ennesima fuga, a cui aveva contribuito la madre Rosalind, fanatica religiosa che lo costringeva a periodiche torture “spirituali” con l’intento di “obbligarlo” ad un riavvicinamento alla fede.
Ma Leon non aveva mai ceduto, anche se le continue pressioni materne avevano finito per sbilanciare il delicato equilibrio psichico del ragazzo e sgretolare il legame affettivo tra madre e figlio.
Perché Leon non tarda ad accorgersi di non essere solo tra l’accozzaglia di oggetti religiosi stipati nella casa…
Il film è un vero “onemanshow” (visto che della Redgrave abbiamo solo la malinconica voce fuori campo e qualche fuggevole visione rubata dalle foto sparse per la casa mentre l’inquietante Richings appare brevemente su una vecchia VHS ed un filmato caricato sul web), ma Poole nel ruolo di Leon riesce ad agire ed interagire con naturalezza con le presenze fuori campo (il vicino che passa a dargli il bentornato) e le voci telefoniche (la centralinista, il tecnico della sorveglianza e l’amica psicologa) non facendo quasi notare l’assenza fisica degli altri interpreti, aiutato, invero, dalla plasticità delle inquadrature degli interni della casa; movimenti fluidi tra gli oggetti e reliquie religiose che invadono gli ambienti e che ottengono il doppio risultato di evitare la staticità di una piéce teatrale, aggiungendo un sinistro tocco di morbosità all’atmosfera e giocando abilmente con luci polverose e giallognole ed ombre.
Ulteriore campo minato è proprio nella struttura della storia, complicata commistione tra fanatismo religioso, misticismo e psicologia. Psiche ed anima giocano un ruolo fondamentale e si muovono come pedoni sulla scacchiera della trama, fornendo ogni volta una doppia interpretazione degli avvenimenti. La presenza di Rosalind è come un triste evanescente velo che ricopre ogni oggetto della casa e cerca di avvolgere Leon e prenderne il controllo, contrastata solo dalla voce calma e lucida della psicologa (amante?) a cui l’uomo si aggrappa telefonicamente per non rimanere succube del passato.
E dietro tutto questo c’è la creatura. La bestia (il diavolo? la psiche fragile di Leon? il simbolo di una religiosità morbosa?) che dai margini del bosco si avvicina sempre di più alla casa. Presenza a suo tempo avvertita anche da Rosalind; presenza che, forse, la spinse a suicidarsi come anni prima fece il marito.
E sopra a tutto c’è l’eterno amore di una madre. Amore sconsolato per la perdita dell’affetto del figlio e amore fanatico ed ossessivo nei confronti di un credo religioso disturbato e disturbante.
Un film di difficile collocazione, che usa diverse angolazioni per raccontare una storia con un finale tanto cinico quanto coraggioso e con un’ultima inquadratura che rimescola le carte in tavola lasciando lo spettatore ad una doverosa riconsiderazione di quello che è avvenuto.
Un bravo al regista che dopo tre corti (che vertevano su argomentazioni simili) ha coraggiosamente sfidato le proprie capacità stilistiche senza apparire ambizioso.
Per questo gli perdoniamo con un sorriso il pessimo CGI con il quale è stata realizzata la creatura cedendo (per fortuna per pochi secondi) alla tentazione di mostrarla in toto.
1/2
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