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The Life and Death of a Porno Gang

Creato il 18 luglio 2011 da Eraserhead
The Life and Death of a Porno GangL’immagine fugace di un cesso stracolmo di merda diventa immediatamente la metafora – si fa per dire – di un paese come la Serbia che, secondo il regista Mladen Djordjevic, è un luogo in cui regna incontrastata la violenza. E The Life and Death of a Porno Gang (2009) un film violento lo è sul serio, di quelli che se ne infischiano del politically correct per mostrare senza veli la brutalità del sangue e del sesso mercificato. Ma, e qui sta innanzitutto un piccolo pregio, l’estremismo della pellicola non si dimostra esclusivamente autoreferenziale e gratuito poiché il coltello oltre ad affondare diegeticamente nella pancia di parecchi esseri umani, penetra più o meno in profondità anche nel contesto socio-politico serbo che ne esce, ovviamente, a brandelli.
Non credo sia un caso se l’unica opera adatta ad una comparazione sia A Serbian Film (2010, entrambi presentati al Ravenna Nightmare Festival), lungometraggio che a detta del regista Spasojevic doveva essere un atto di denuncia sulle angherie del governo serbo, e che invece al sottoscritto è sembrato solo un pretesto per inscenare qualche mostruosità varia (il newborn porn non mi fa dormire ancora oggi). Ebbene, da tale confronto TLaDoaP esce vittorioso, seppur con evidenti difetti, per due motivi sotto enucleati.
The Life and Death of a Porno Gang
1- SU COME VIENE UCCISA L’ARTE
Il giovane regista Marko ha velleità artistiche, e che il punto di riferimento sia Pink Flamingos (1972) con il poster appeso in cameretta poco importa, lui vuole fare Arte. Il suo desiderio di compiere un passaggio realizzante a livello personale si scontra però con delle negligenze a livello politico-economico, difatti il protagonista non ha del denaro a disposizione per girare i suoi film, la soluzione, l’unica che il sistema serbo gli propone, è quella della pornografia. L’incontro con il “collega” Cane (si chiama così ma l’assonanza animalesca non stride affatto) è il primo passo verso una riduzione di vedute, di speranze, di ambizioni. Per Marko la pornografia è il teatro di uno scontro diadico tra eros e thanatos, laddove è la morte a farsi zimbello dell’amore. Di certo un’arte arida di sentimento non è propriamente definibile tale, tuttavia il regista protagonista ha ancora la forza di ricercare la sua idea artistica e mette su una compagnia itinerante di personaggi al limite: tossici, ritardati, malati di AIDS. Ma anche qui la risposta balcanica a questa forma di espressione è racchiusa nella reazione di alcuni villici che durante un agguato alla banda decidono di violentare tutti i membri di essa.
L’arte agognata di Marko si fa dunque utopia, e a ciò si lega un altro problema: quello di sopravvivere. Il regista accetta allora il compromesso di girare alcuni snuff in cambio di denaro.
Con tale accordo si concretizza la morte artistica del giovane che precipita in un imbuto dal quale non c’è via di ritorno: quando Marko si esalta per la ripresa di una decapitazione tramite sega circolare l’anti-sistema serbo ha schiacciato gli ideali di un giovane ragazzo, ha assorbito i suoi sogni per tramutarli in dolente realtà: non può esserci cinema in Serbia, e quindi nemmeno Arte.
2- SU COME VIENE UCCISA L’UMANITÀ
Che gli ingranaggi della vita in questa zona non siano ben oliati lo si capisce vedendo i membri della gang. C’è una coppia eroinomane con bambino a carico, due omosessuali sieropositivi, un transessuale, una cocainomane, e via dicendo. Ma Djordjevic assesta il colpo più duro quando Marko accetta di girare gli snuff-movie e non ha bisogno di andare a trovarsi degli “attori” per tali opere poiché sono loro a offrirsi a lui per vari motivi tutti riconducibili, e qui va riconosciuto il merito, a un malessere profondissimo legato alla nazione di appartenenza. Il procedimento è tanto forzato quanto irreale perché dubito che neanche il criminale più criminale, il povero più povero, o il pazzo più pazzo baratterebbero la loro vita con del denaro, eppure a livello concettuale è efficace poiché noi vedremo un maniaco che si offre a Marko solo per il gusto di farlo, un ex soldato divorato dai rimorsi che per un futuro migliore alla sua famiglia decide di farsi tirare una martellata in testa, e un nonno che accetta la propria morte per aiutare la nipotina sfigurata da una bomba. Tutte e tre le vittime di Marko sono ancor prima vittime di un regime amorale, primitivo, che riporta allo stato di natura hobbesiano in cui la guerra e la sua inesorabile scia drammatica è penetrata a tal punto nel tessuto sociale da aver annientato qualunque forma di umanità.
Queste due tesi sono portate avanti da Djordjevic con uno stile pressoché amatoriale fatto di inquadrature tremolanti e sgranature di pellicola. Il fuori campo non è contemplato; tutto viene esibito, dal gore all’hardcore, in un’orgia – mai termine fu più calzante – di sangue e sperma.
I passaggi ingenui e ingiustificati ci sono (due su tutti: lo sgozzamento di una capretta e il già citato stupro di gruppo ai danni della comitiva), cosiccome permane una tendenza a voler portare tutto all’eccesso (il finale, per esempio).
Ad ogni modo le due motivazioni che ho tentato di esplicitare sopra, la spontanea simpatia nei confronti dei membri di questa combriccola kitsch-hippie-new age che non si prende troppo sul serio, il furore cinematografico di fondo che ha il potere di investire, fanno di The Life and Death of a Porno Gang un potenziale cult del nostro tempo.
E mi raccomando, mettete a letto i bambini.

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