The lobster
Creato il 24 ottobre 2015 da Kelvin
(id.)
di Yorgos Lanthimos (Grecia/Irlanda, 2015)
con Colin Farrell, Rachel Weisz, Léa Seydoux, Angeliki Papolulia, Ben Whishaw, John C. Reilly, Olivia Colman
durata: 118 minuti
★★★★★
In molti hanno accostato Yorgos Lanthimos a Lars Von Trier per l'assoluta, totale mancanza di fiducia nel genere umano, e anche a Michael Haneke, per la freddezza e il distacco con cui mette in scena gli orrori della società moderna, ma a mio avviso sarebbe davvero ingeneroso e limitativo "inscatolare" questo regista greco in etichette fin troppo facili, dato che, per chi scrive, questo cineasta merita a tutti gli effetti di entrare dalla porta principale nel novero degli autori contemporanei più lucidi e coraggiosi nella loro idea di cinema.
Chi frequenta i festival ha già avuto modo in passato di capire chi è Lanthimos e quale sia la sua visione del mondo: in Kynodontas (2009) un padre di famiglia teneva segregati in casa moglie e figli per preservarli dal "male" che c'è oltre le pareti domestiche, talmente isolati al punto da farli regredire quasi allo stato animalesco nel linguaggio e nei comportamenti. In Alps (2011) i protagonisti erano i membri di una specie di scuola teatrale i cui "attori" avevano il compito di sostituire persone defunte nelle famiglie che ne facevano richiesta, per aiutarle nell'elaborazione del lutto. In questo percorso, The Lobster, primo film a largo budget e cast internazionale, si inserisce come la pagina finale della trilogia, ovvero la visione definitiva, estremizzata, ferocemente allegorica di un modello di umanità personalissimo e spiazzante. E' un film apparentemente di genere, che ha il grande merito di dimostrare quanto la fantascienza (quella distopica, in questo caso) sia importante nel rappresentare e denunciare i rischi di un presente inquieto e poco rassicurante.
The Lobster racconta, appunto, un presente alternativo dove innamorarsi è un obbligo ed essere corrisposti una necessità. La singletudine infatti non è ammessa: chi è ancora scapolo oltre una certa età, oppure lo diventa suo malgrado (per vedovanza o per separazione) viene recluso in un "centro di rieducazione" che ha l'aspetto di un albergo di lusso, dove ha 45 giorni di tempo per trovarsi una nuova compagna, pena la trasformazione in un animale a sua scelta. Il protagonista della storia, David (un imbruttito e irriconoscibile Colin Farrell, con tanto di baffi e pancetta) si rende conto ben presto di non avere alcuna possibilità di trovare l'amore in un posto del genere, e scappa di nascosto nei boschi per sfuggire al suo destino. Qui sarà accolto da un gruppo di "solitari" come lui, organizzatosi in comunità, cadendo dalla padella nella brace: la leader dei ribelli, infatti (una luciferina Léa Seydoux), è una donna sadica e spietata che non ammette la promiscuità: David, che nel frattempo si è (finalmente, e soprattutto spontaneamente) innamorato di una ragazza miope (Rachel Weisz), deciderà di correre il rischio...
The Lobster mette in scena una straordinaria metafora del nostro tempo, angosciante e cruda sia nella trama che nello stile: quante persone, al giorno d'oggi, stanno insieme per consuetudine, per necessità, per paura di restare sole, senza amarsi davvero? E, per contro, quante persone ancora single, soprattutto adulte, vivono malissimo la loro solitudine non tanto per effettivo disagio ma per le convenzioni imposte dalla società? Viviamo in un mondo dove la solitudine (che di per sè non è dannosa, se voluta) ci spaventa e ci opprime, e viene percepita come un pericolo, amplificata dal martellamento dei media che quasi ci obbligano a riunirci in comunità fittizie e illusorie in nome di uno spirito di gruppo che in realtà non esiste (si pensi all'abuso dei social-network, con i quali ci illudiamo e ci vantiamo di amicizie virtuali e plastificate). Il film di Lanthimos vuole farci riflettere, a suo modo, su una possibilità alla quale quasi nessuno pensa: trovare l'anima gemella non è nè facile nè scontato nè dovuto, e se alla fine non ci si riesce perchè non "accontentarsi" di noi stessi, perchè ritenersi "orfani" rispetto alla massa?
La parte più bella di The Lobster è infatti quella ambientata nell'albergo, dove gli "ospiti" cercano disperatamente una compagna, lottando contro il tempo, non perchè lo desiderano ma solo per salvarsi la vita. Vi avverto: ci sono sequenze di una violenza psicologica (ma anche esplicita) inaudita, quasi insostenibili (alla proiezione a cui ho assistito, durante una delle scene più drammatiche - la morte del cane/fratello di David - alcune persone hanno abbandonato la sala) ma necessarie per esasperare volutamente il concetto-base del film, cioè la perdita della propria individualità e della facoltà di ragionare, di decidere serenamente e liberamente della propria vita, ben rappresentate dal paradosso di cui è vittima David: fuggire da una società retta da regole assurde per ritrovarsi in una completamente opposta (quella dei "solitari") ma altrettanto assurda e forse ancora più ipocrita. Ne sono un'agghiacciante dimostrazione i siparietti dei "solitari" quando sono costretti a recarsi in città, fingendosi "accoppiati" e ostentando falsa felicità (perfino davanti agli occhi dei genitori...)
La regìa di Lanthimos è scientificamente artefatta, impersonale, così come la recitazione degli attori: asettica, distaccata, fredda, quasi meccanica, priva di qualsiasi slancio emotivo. I protagonisti sanno di essere già morti, vittime consapevoli di una (dis) umanità senza futuro: ne viene fuori un film devastante, indimenticabile, raggelante eppure capace di prenderti al cuore e trepidare fino all'ultimo fotogramma per David e la sua compagna, in un finale, per fortuna, assolutamente aperto: l'unica concessione all'ottimismo di una pellicola ineluttabile e cinematograficamente sconvolgente.
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