Gli autori non deludono mai e Ridley Scott non fa certo eccezione, anche quando sbaglia film e ci propina pellicole dimenticabili e discutibili. The Martian, per fortuna nostra, non è ne’ dimenticabile ne’ discutibile, ma straordinario dal punto di vista cinematografico ed emozionante nella sapienza della messa in scena. The Martian parte col botto, scaraventandoci dopo una manciata di minuti, all’interno di una drammatica tempesta, poi ha il coraggio di dilatare i tempi e si concede il lusso di approfondire il personaggio principale (un intenso Matt Damon) alternando i suoi piani per sopravvivere, con le reazioni sulla terra, i tentativi inutili di riportarlo a casa e le psicologie degli altri partecipanti alla missione che lo hanno abbandonato, credendolo morto, al suo marziano e solitario destino. Il tutto ha il ritmo e il respiro di un cinema che fu, quando non era necessario un montaggio al cardiopalma per tenere viva l’attenzione dello spettatore, ma si lavorava sul significante, esaltando il mezzo filmico oltre i suoi limiti, lavorando su ogni inquadratura per il significato che ne voleva dare l’autore. Poi arriva l’ultima mezz’ora di film, introdotta da Starman di Bowie ed ogni barriera di trattenuta oggettività si scioglie come fontina in un toast al prosciutto. Quello che Scott decide di mostrarci nell’ultima straordinaria parte di The Martian è pura e cristallina emozione, suscitata ed esaltata dal mezzo in se’ e dalle scelte di un regista che sa quello che vuole, sa come metterlo in scena e sa come lasciare noi spettatori a bocca aperta, trepidanti ed inzuppati di lacrime, per una pura e semplice finzione, estensione naturale ed umana di una pietas che travolge tutto e tutti. The Martian non è un capolavoro, ma è uno di quei bellissimi film che capitava di vedere al cinema in un futuro remoto e che sono sempre più rari in questo strano ed incomprensibile futuro anteriore; un film che ci emoziona e ci fa sognare, una pellicola che ci fa desiderare le stelle e che ci riconcilia con il cinema, mezzo espressivo sublime ed infinito contenitore di storie, oggi sempre meno arte e in fondo, sempre meno nostro.
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