Presentato in anteprima al Festival di Venezia il 1 settembre 2012, il nuovo lavoro di Paul Thomas Anderson si prepara ad esser accolto anche dai “più”, qui in Italia, a partire dal 3 gennaio 2013. In quel del Lido, i due colossi protagonisti del film, Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman, vengono premiati ex -aequo con la Coppa Volpi per la Migliore Interpretazione maschile e ad Anderson va il Leone d’Argento per la Miglior Regia.
Il regista di Boogie Nights (1997), di Magnolia (1999), fino al più recente Il petroliere (2007) torna a raccontare qualcosa allo spettatore e lo fa ambientando la sua storia nell’America del secondo Dopoguerra. Un ritratto piuttosto drammatico, fatto di incertezze, di paure e di orrori ancora vivi nella mente di quegli uomini mandati a combattere senza accettabili ragioni. Nelle disumane condizioni di un Marines che uccide uomini senza pietà, nella vita di Freddie. Lontano dagli affetti, da tutto ciò che prima della guerra poteva rappresentare una speranza, un appiglio per un futuro decisamente migliore. Quest’uomo tenterà, una volta finita la guerra, di riprendere in mano la propria vita. Proverà lavorando come fotografo nei grandi magazzini dell’epoca, come contadino. Finché non si ritrova come clandestino a bordo di una nave. Qui, incontrerà Lancaster Dodd, un affabulatore, un sofista. Maestro della Causa, un fascinoso e maestoso Philip Seymour Hoffman, sposato con la bella e mai scomposta Peggy (Amy Adams non ne sbaglia una!!!)
Siamo nei meandri della psiche umana, delle paure e dei tic che ci affliggono dai tempi più remoti e al centro di tutto c’è proprio lui, l’uomo. Vengono sollevate con assoluta maestria, poiché non si cade mai nell’eccesso, questioni delicate riguardanti il labile e imprevedibile percorso di una vita, e di come essa possa evolversi secondo quel che sfiora lungo il proprio cammino. In questo caso Freddie è un uomo devastato dalla Guerra appena terminata, un uomo ormai violento privato della propria razionalità, del proprio autocontrollo. Accanto ai reduci, sorgono in quegli anni gruppi spirituali alternativi, le nuove religioni, dall’Ascetismo ai Dianetics, erano queste le grandi comunità che si battevano per dare all’uomo delle nuove risposte, delle riscoperte. E la Causa rappresenta esattamente questo tipo di cultura spirituale. Dodd è a capo della “setta” (mi verrebbe più naturale chiamarla così, dal momento che durante la visione mi sentivo quasi ipnotizzata dalle parole e dalle “applicazioni” seguite da Freddie) ed è significativo il modo in cui questi cambierà la vita del protagonista, fin dall’incontro all’interno della nave (davvero suggestiva la sequenza del loro primo “colloquio”) per poi crescere in un lento instaurarsi di conflitti e affetti quasi ai limiti della morbosità. Vedremo Freddie e Dodd alle prese con questo loro intenso rapporto, come un padre che si curi de proprio bambino, il Maestro che cerca di avviare l’Allievo, il prediletto. Quello poco ben visto dal resto della comunità, eppure per Dodd, quel povero mascalzone ubriaco, significava molto di più.
Un dramma sul disagio dell'essere umano. Del suo doloroso e lento riappropriarsi della vita dopo essere stata segnata da una ferita troppo profonda. Anderson da buon demiurgo, prende in prestito il contesto dell'America degli '50 e la storia di un reduce di guerra nel corpo dei Marines. Ma il fascino e lo stupore che coinvolge lo spettatore, deriva dal fatto che questo dolore e questa vicenda si allargano fino ai giorni nostri, e riprende la crisi esistenziale dell'uomo di oggi. Insoddisfatto, incapace di guardare oltre ed afferrare il proprio futuro. Alla ricerca disperata di nuove risposte. Con un Phoenix intenso, superlativo...un film che ti scava dentro e ti fa tornare indietro, (o andare avanti?) alla ricerca di un numero indefinito di vite passate e/o future.
Ripenso agli occhi di Freddie, al suo modo di muoversi sulla scena, alla sequenza nella cella con Dodd e al momento forse più quieto, come il mare calmo, di tutto il film. Anderson ci propone questo momento due volte, forse ci teneva che allo spettatore arrivasse. Arriva una brezza rassicurante, una sorta di pace interiore, attraverso lo sguardo di Freddie e al suo trovarsi accanto a una donna “di sabbia”, la sola che sappia dare a Freddie quel senso di calma e rassicurazione. Una donna che però non c’è, o meglio esiste, ma in uno spazio difficile da definire. Una donna in riva al mare, una speranza che potrebbe venir risucchiata dalle onde, senza preavviso, da un momento all’altro…
“Un film che ti scava dentro”