the master

Creato il 09 gennaio 2013 da Albertogallo

THE MASTER (Usa 2012)

Stati Uniti, anni Cinquanta. Freddie Quell è un giovane disadattato, alcolizzato e violento, un reduce di guerra problematico à la Travis Bickle. Lancaster Dodd è il “maestro” (da cui il titolo del film) di una strana setta – la Causa – il cui dogma principale consiste in una sorta di ipnosi regressiva finalizzata alla scoperta di se stessi e delle proprie vite precedenti. I destini dei due uomini si incrociano per caso su una nave, e tra essi nasce un profondo e conflittuale rapporto di natura drammaticamente edipica.

È questa, in estrema sintesi, la vicenda intorno a cui ruota The Master, diretto da Paul Thomas Anderson a cinque anni dal Petroliere. Quella pellicola fece gridare molti (me compreso) al capolavoro. Questa decisamente no: è un bel film, per carità, l’abilità tecnica e il gusto estetico di PTA non si discutono, e i due protagonisti (Philip Seymour Hoffman e, soprattutto, Joaquin Phoenix, più simile a Johnny Cash di quanto non lo fosse in Walk the Line) sono grandiosi. Ma a stupire – negativamente, direi – è tutto ciò che The Master non è: non è un film sulle sette religiose (né di condanna né di esaltazione: semplicemente non parla di quello), non è un film sulla società americana degli anni Cinquanta (spesso espedienti simili vengono utilizzati per parlare metaforicamente del presente), non è un film sui traumi postbellici (Taxi Driver e Rambo sono tematicamente ben lontani), non è un film particolarmente tragico, divertente o carico di tensione.

Che cos’è, allora, The Master?

Non saprei. A essere maligni si potrebbe dire che è un’opera gratuita, uno splendido esercizio di stile la cui (relativa) forza sta tutta nella perfezione estetica della mise en scène, nell’interpretazione dei protagonisti, nella ricostruzione di un’epoca sotto molto punti di vista (mezzi di trasporto, abiti, arredamenti) piuttosto distante dalla nostra: la sequenza, verso l’inizio del film, in cui Freddie lavora come fotografo in un grande magazzino e che ci mostra i suoi scatti è incredibile per il modo in cui riesce a ricostruire esattamente quella luce, quelle pose, quegli sguardi che a tutti è capitato di scorgere nelle foto dei propri nonni o genitori. La cura del dettaglio è veramente maniacale e sorprendente. Così come bellissima da vedere – pur nella sua, ancora, apparente gratuità – è la scena della motocicletta, in cui i due protagonisti si alternano nel deserto alla guida di uno splendido modello (per noi) d’epoca: è talmente vivida la costruzione – anche sonora – dell’immagine che l’impressione dello spettatore è quasi di essere lì, con Freddie e Dodd, lanciati in una corsa pseudosuicida e diretti verso un tragico nulla.

E forse è proprio questo il senso profondo del film, un tragico nulla. Il vuoto dell’esistenza che porta le persone a gettarsi senza troppo pensare tra le (avide? Il Maestro viene incarcerato per truffa, ma non c’è una vera condanna della sua figura) braccia di chi sembra avere delle pur vaghe e raffazzonate risposte.

The Master: un film freddo, elegante, austero. Musiche del Radiohead Jonny Greenwood, meno epiche e memorabili di quelle del Petroliere.

Alberto Gallo



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