The Master: Credere, Obbedire, Ribellarsi

Creato il 28 marzo 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Cristian Sciacca

Esiste un labile confine tra il libero pensiero e il libero indottrinamento ed è in questo spazio che si muove Freddie Quell, protagonista di The Master, ultimo film di Paul Thomas Anderson, presentato alla scorsa Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Interpretato da un intenso e convincente Joaquin Phoenix, Freddie è un reduce della Seconda Guerra Mondiale che, sconvolto dal conflitto e già disturbato da frequenti turbe psichiche, non regge l’impatto terrificante col ritorno nella società civile, vagando senza una meta e un obiettivo da raggiungere. Sarà l’incontro con Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), guru spirituale e fondatore di un’organizzazione chiamata “La Causa”, ad offrirgli (almeno inizialmente) risposte e certezze. Se il film è diventato famoso già prima della sua uscita per rappresentare “la critica definitiva” a Scientology, in realtà si rivela ben altro. Anzi, tanto altro. È vero che la figura di Dodd viene tratteggiata in maniera simile a quella di L. Ron Hubbard, fondatore del movimento (nato proprio dopo la WWII), ma è pur vero che ad Anderson non interessa tanto fare una ricostruzione storica sul come e perché l’organizzazione si è sviluppata, quanto usare questo soggetto per approfondire certe tematiche, trattate anche nelle sue precedenti opere: l’ambiguità, la solitudine, le relazioni che le menti umane intrecciano tra di loro.

In The Master non emergono giudizi su chi è buono o cattivo, su cosa è giusto o sbagliato. Anzi, essendo proprio questa la prerogativa fondamentale del pensiero dell’organizzazione di Dodd, lo svolgersi degli eventi e la tormentata evoluzione spirituale di Freddie suggeriscono la necessità della dialettica, dello scontro. Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman (che non sbaglia davvero un colpo) danno vita, fra le altre, ad una sequenza magistrale dove assistiamo all’apertura totale di Freddie verso il suo leader: una scena di rara tensione emotiva, tutta giocata su primi piani e giochi di luce. E la figura del “guru” Dodd stimola non meno di quella del protagonista: con le sue teorie sull’essenza e gli scopi dell’Uomo e il suo ostentato carisma, pur lasciando intravedere debolezze e intimi segnali di crollo, il leader esercita un’attrattiva irresistibile verso i suoi adepti, spesso trattati come servitori di una “Causa” superiore. Nella loro rabbia (repressa o espressa) e nel loro personalissimo conflitto col mondo esterno, i due personaggi principali realizzano un intreccio fra le loro solitudini, difficile da sciogliere e soprattutto risolvere. Due i momenti da ricordare, oltre al già citato faccia a faccia Phoenix/Hoffman: la scena del dialogo (misto tra realtà e finzione) tra Freddie e la fidanzata, lasciata per andare in guerra, e la sua fuga in moto, con un Hoffman rassegnato che lo vede allontanarsi sempre più verso l’orizzonte.

Paul Thomas Anderson, ormai consacratosi come uno dei più importanti registi della sua generazione, avrà anche fatto di meglio con Il petroliere o Magnolia, eppure già dalla prima visione The Master si mostra in maniera netta, ad un occhio non voyeuristico né armato di pregiudizio, per quello che è: un film profondo, maturo, ambizioso, che parla di uomini e delle loro scelte. E se durante o dopo la visione rimane un senso di incompiutezza è proprio perché Anderson non ci ha invitato alla sagra delle risposte o delle certezze.


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