Pensavo che dopo Philadelphia, e dopo l'ultimo Dallas Buyers Club, non mi sarei più trovata nella condizione di spettatrice e critica, costretta a capire se in quella storia così dolorosa che lo schermo racconta, ci sia sincerità e intelligenza, oppure sia solo l'ennesima paraculata che specula sul dolore. Perché affrontare l'Aids non è per niente facile, non lo è mai. Non lo era nel 1993, anno in cui uscì il film di Jonathan Demme (Philadelphia), e non lo è oggi. Insomma il dolore non cambia insieme alle tendenze, non è un fattore che puoi tenere sotto controllo e non lo puoi plasmare. Certo è che negli anni, a cambiare possano essere (e lo sono) gli atteggiamenti, le interpretazioni di ciò che avviene nel mondo e, di conseguenza, l'approccio a quelle che comunemente chiamiamo "piaghe" della società.
Ne è la prova, se vogliamo che lo sia, il film di Ryan Murphy uscito quest'anno come film per la tv e adattamento dell'omonima opera teatrale, The Normal Heart. Di fronte a un titolo che già sappiamo, affronti il tanto dibattuto tema, più di qualcuno potrebbe sentirsi già "stanco" e la speranza di vedere qualcosa di "diverso" può essere veramente misera. Lo era anche per me. Volete la verità?
Be' la verità è che mi aspettavo molto dalla performance di Mark Ruffalo, attore per il quale nutro una profonda, profondissima stima (#granpezzodignocco).Mi aspettavo molto, e ho avuto altrettanto.Mi spaventava però l'idea di affrontare nuovamente l'Aids, e di tentare ancora una volta di approcciarmi alla questione in maniera critica, che poi mi chiedo: "è davvero possibile riuscirci?".
Chiusa parentesi/sfogo personale, torniamo al film.Non è come tutti gli altri. The Normal Heart parla soprattutto dell'ignoranza dell'uomo che, allora come oggi, altro non fa che condannare se stesso. Il rifiuto di capire e affrontare un problema che presto potrebbe riguardare tutti, ma che per il momento no, è "roba per soli gay", addirittura a quei tempi si parlava proprio di "cancro dei gay". Anche se in realtà già verso la fine del 1981, vennero registrati i primi casi di contagi tra eterosessuali. Anche il New York Times si espresse in merito, appoggiando chiaramente l'idea secondo la quale l'Aids, fosse solo un problema per gay: "Raro cancro osservato in 41 omosessuali".
E c'era il silenzio di chi avrebbe dovuto invece gridare e battersi per una giusta causa, c'era la paura di un'epidemia appena esplosa ma che non si voleva nemmeno affidare alla ricerca medica (nel film vediamo una bravissima Julia Roberts nei panni del medico che forse per primo, ha iniziato a battersi affinché la medicina e l'America intervenissero e finanziassero la ricerca).Negli anni'80 molti omosessuali vivevano nel silenzio, con la paura di esprimere liberamente i propri sentimenti, quindi per molti era più facile "fare finta di". Fare finta che questo male prima o poi passerà, che fare l'amore con chi amiamo non ci sta uccidendo.
In quegli anni, dal 1981 al 1985, anno in cui è stato riconosciuto l'Aids, è morta un'intera generazione. E se l'America non avesse taciuto per quasi quattro anni e avesse ascoltato chi in quegli anni si batteva davvero affinché quelle morti non continuassero senza ragione, senza spiegazione?
Magari si sarebbe evitato di guardare un malato di Aids come si faceva con gli appestati. Magari avrebbe avuto senso combattere per chi si ama e per la libertà di farlo, senza sentirsi "diversi".Magari ad oggi, non conteremmo più di 36 milioni di morti per Aids.