the origin of the feces

Creato il 06 gennaio 2012 da Nefarkafka666

Un’altra lunga pausa. Dovuta a ragioni professionali e personali. Mi sento come un diapason che al ritmo di un metronomo impazzito scandisce il tempo con esalazioni intestinali e sinistri borbottii peristaltici. Non so se le motiv(azioni) possono essere di qualche interesse ma mi piace supporre di sì, visto che il blog ha registrato comunque un discreto aumento delle visite (discreto per me, ovviamente) nonostante la mancanza di nuovi post. Da un punto di vista lavorativo sono stato trasferito presso altra sede, a svariati chilometri di distanza dalla precedente. Tale decisione è stata dettata dalla necessità di salvare il deretano aulente di un tale. Costui aveva amministrato i propri rapporti interpersonali con l’ambiente circostante in modo fortemente creativo. La sua inventiva, però, si era espressa in una serie di manifestazioni che nel corso degli anni gli avevano attirato una serie di critiche. Nel migliore dei casi. Nel peggiore, una sequela di maledizioni la più benevola delle quali era “Ti venga un vermocane.� Non so nel dettaglio cosa abbia fatto costui, persona che tra l’altro conosco e con la quale in passato ho avuto modo di collaborare in modo soddisfacente e professionale. Mi narrano, però, che abbia manifestato atteggiamenti particolari e contraddistinti da particolare e ducesca ferocia. La cosa che mi fa pensare è che tutti quanti concordano nel definire il collega come un supremo cagacazzi. Altri dissentono e lo appellano come un rivoltante rompicoglioni. Altri ancora affermano che sia un apocalittico stracciapalle. Tutti, però, concordano che il suo apporto professionale sia sempre stato rivolto alla disintegrazione delle gonadi altrui.

Il tutto, ovviamente, con l’avallo del suo capo. Una oggettiva manifestazione antropica delle tremende conseguenze dovute dall’avere un’arachide tostata al posto del cervello e piscio di cammello in luogo del liquido cerebrospinale. La loro particolare intesta è sempre stata sotto gli occhi di tutti. In fin dei conti è istituzionale che un dirigente di qualsiasi livello abbia almeno uno yes man pronto a reggergli il pitale o a fungere da medesimo in mancanza dello stesso. È nel genoma del sistema aziendale. È il noumeno del consesso professionale. È l’applicazione di una figura retorica tacita ed accettata. Non giudico l’apporto di questo collega e se dovessi farlo lo reputerei come un valido professionista. Semplicemente riporto ciò che è una oggettività. Tra lui ed il suo capo vige una particolare forma di sentire che trova attuazione in una serie di privilegi dovuta più alla simpatia personale che all’obiettivo riconoscimento dei meriti.

Non sono nato ieri: ho sempre visto queste cose e le accetto perché sono fisiologiche. Dal canto mio ci ho provato anche io ad essere uno yes man: i privilegi che se ne hanno compensano spesso ampiamente gli sforzi profusi. Ma non ci riesco. E non perché possa definirmi integro e rigoroso da un punto di vista morale: il mio approccio etico è da tempo che è scivolato giù per lo scarico del cesso. Diciamo dai tempi di Meat is murder degli Smiths. Più semplicemente perché tale modus vivendi implica impegno, concentrazione e una notevole dosa di faccia tosta. Tutte qualità che purtroppo non posseggo. Credetemi: se le avessi le userei senza ritegno e con soddisfazione. Perché premiano più della bravura, dell’intelligenza e del sacrificio messi insieme. Per ottenere risultati gratificanti e riconoscimenti sul piano personale (progredire, crescere, ricevere e dare stimoli) far bene il proprio lavoro non serve a nulla. È molto più performante e proficuo puntare su tutte quelle doti che sono proprie di quella figura umana nota come leccaculo.

Lo so, lo so. Vi sto annoiando. Sto dicendo cose ovvie, risapute e masticate all’infinito in un bolo informe e molliccio.

Ad ogni modo questa persona, avendo ben compreso dell’astio (di cui mi sono ignote le ragioni) nutrito dal suo superiore nei confronti dei dipendenti di un settore della grande azienda, ha ben pensato di lavorare con sedulo impegno per metterli tutti in cattiva luce. Da un lato ha quindi visto crescere le proprie quotazioni da parte del suo capo, dall’altro si è attirato le antipatie di un nutrito numero di dipendenti (vogliamo dire tutti? Diciamo pure: tutti) che con il tempo sono arrivati al punto di fargli capire che, se una sera avesse incontrato in un vicolo un comitato di benvenuto di quattro energumeni incappucciati muniti di possenti randelli, le sue ossa e le sue cartilagini avrebbero sperimentato forme di dolore del tutto nuove.

Al secondo treno di pneumatici squarciati e al quinto gatto morto rinvenuto davanti all’uscio di casa, il collega ha quindi ottenuto il passaggio ad altro e ben più prestigioso settore. La norma vorrebbe che se un intero dipartimento non vede di buon occhio un consulente forse chi sta in altro dovrebbe interrogarsi sul singolo soggetto perché è statisticamente improbabile che ci siano 48 mele marce e un solo chierichetto. Ma non funziona così.

Essendosi resa vacante la sede, occorreva un rimpiazzo. Una persona anonima, sacrificabile e magari (dote comunque del tutto secondaria) con un livello di competenze tali da non fare grossi danni. Il ritratto del sottoscritto. Infatti:

A) la mia presenza risulta visibile solo dal mio essere fisicamente presente nella mia stanzetta (che divido con altre due persone) e dai risultati che quotidianamente cerco di raggiungere. Frequento pochissimo la saletta ristoro e mi attengo alle norme comportamentali di interazione umana precedentemente espresse tempo fa: parlo pochissimo ed in maniera misurata, interagisco con prudenza con gli altri e solo per lo stretto indispensabile, non provoco e ad eventuali provocazioni reagisco con sguardo distratto al limite dell’ebete.

B) avendo giustificato la mia presenza solo in virtù del mio contributo lavorativo non ho mai contratto debiti con nessuno, ma neanche crediti. Quindi non mi è possibile avere un potere di contrattazione basato su rapporti personali pregressi.

C) bene o male il mio lavoro lo so fare e con un minimo di impegno e tempo riesco a combinare qualcosa di decente.

L’annuncio mi è stato dato un paio di settimane prima delle ferie natalizie. Ovviamente quando tutto era stato già deciso. Il dirigente mi telefona e mi convoca nel suo ufficio con una certa urgenza. Mi viene da pensare subito che forse ho combinato qualche cazzata, ma facendo mente locale non ricordo di aver fatto nulla che possa dare adito ad una ramanzina.

“Devo porti al corrente di una situazione abbastanza delicata� mi dice con aria greve.

“Prego… mi dica�

“Forse saprai che Niccolò alla sede di xxxxxxx sta avendo problemi con i collaboratori del reparto zzzzzzzz…�

“Davvero?� rispondo con fare diplomatico “Mi spiace… non ne ero informato… come sa seguo la zona industriale di xxxxxxxxx e con Niccolò ci sentiamo di rado…�

“Immagino…� pausa riflessiva “D’altronde tu sei sempre stato una persona discreta, uno che pensa al suo lavoro e che si mantiene lontano dal fare pettegolezzi…�

Quando qualche dirigente comincia ad usare un tono mellifluo e blanditorio vuol dire che o vuol darti una promozione o una inculatura: per esperienza il contesto sembrava essere propedeutico alla seconda. Serro la natiche.

“Grazie� rispondo “cerco solo di fare il mio lavoro come meglio lo so fare…�

“Lo sappiamo… lo sappiamo�

Quando qualche dirigente comincia ad usare la prima persona plurale vuol dire che sei in una zona pericolosa perché vuol farti capire che dietro di lui c’è la Luftwaffe, la P2, lo IOR, la NASA e l’alleanza interplanetaria del pianeta Mongo. Nove volte su dieci non è vero, ma è questo quello che vuole farti credere.

“Grazie…� ripeto con tono piatto.

“Non pensare che le tue doti passino inosservate…�

Quando qualche dirigente comincia ad usare frasi del genere vuol dire che ha capito che hai stretto le chiappe.

“Mi fa piacere…� ribadisco. E nel frattempo mi sento sempre più scomodo.

“Alla dirigenza piacciono le persone serie… che lavorano… magari senza clamore, ma con impegno e costanza…�

Quando qualche dirigente comincia ad usare simili introduzioni vuol dire che si è messo metaforicamente un guanto di lattice e lo sta imburrando.

“Mmm…� annuisco.

“Gente che collabora e che i problemi non li crea… li risolve…�

Quando qualche dirigente comincia ad usare queste stoccatine vuol dire che si sta preparando ad infilare la mano guantata, chiusa a pugno, nel più sacro dei tuoi orifizi.

“Grazie…� mantengo la calma e capisco che dovrei rilassare lo sfintere perché tanto il colpo arriverà comunque e stringere farà solo più male. Ma non ci riesco e contraggo ancora di più.

“Ad ogni modo ci sono questi problemi… delle incomprensioni… non mi interessa sapere di chi sia la colpa… io sono una persona pragmatica che non perde tempo in chiacchiere… comunque… si sono create situazioni spiacevoli che non conosco nel dettaglio e che non sto qui a riassumerti…�

Quando qualche dirigente comincia ad usare queste digressioni vuol dire che è quasi finita e che lui si sta liberando di un peso. Perché lo sta scaricando su di te, dentro di te, per la precisione: su per il tuo retto.

“Capisco…� ed ho davvero capito. Il pugno è salito nel culo fin quasi al gomito. Ma devo ammettere che è stato bravo: non me ne sono quasi accorto. Farà male più tardi.

“Per questo avevamo pensato a te… perché con gli altri sai mantenere le giuste distanze… stabilire i giusti rapporti e mantenere i nervi saldi… devo confessarti che il tuo è stato il primo nome che mi è venuto in mente… e ci siamo trovati immediatamente con il medesimo parere… te l’ho detto… a volte non c’è il tempo di scambiare quattro chiacchiere, ma devi sapere che tutti abbiamo grande stima di quello che fai e di come lo fai… �

Non dico nulla. Mi limito ad annuire. Prendo atto che oltre ad avermi infilato qualcosa su per il culo, per il culo mi stanno anche prendendo. Capisco ed accetto la tendenza a penalizzare qualcun altro solo perché meno simpatico, perché meno inserito in determinati circuiti o semplicemente perché meno bravo nel tessere sapienti reti di rapporti interpersonali. Ma cercare di indorare la pillola quando sappiamo benissimo che non è una pillola ma una supposta all’acido prussico mi intristisce. Non credo che la persona che ho davanti abbia mai parlato della questione con l’amministratore. Forse sarebbe stato meglio se fosse venuto da me e mi avesse detto: “A Niccolò laggiù l’hanno giurata. Devo salvargli il culo perché lui il culo a me lo ha sempre leccato con lingua felpata. Devo metterlo in culo a qualcun altro ed il primo culo disponibile è il tuo.�

Mi alzo. Ringrazio per la considerazione e faccio capire che vivo la cosa come un attestato di stima che l’azienda mi offre e non per la fregatura che è. Stringo la mano che mi viene porta e chiedo se, prima di tornare al mio lavoro, posso fare altro. Mi da una pacca sulla spalla e mi dice che è molto riconoscente per il mio spirito di squadra e che sarebbe bello se tutti fossero come me. Conclude informandomi che si farà vivo lui per farmi sapere quando dovrò partire.

Esco e mi viene in mente un post inserito qualche mese fa. Invitavo alla soppressione di un collega, invitavo a farlo in modo da rimanere impuniti. Giustificavo tale dettame con il fatto che sicuramente qualcuno sta pensando di fare la stessa cosa. Ricevetti anche una replica.

Quando scrissi quelle righe pensavo di avere ragione.

Ora so di avere ragione.

P.S.: non faccio auguri di buon anno. È una convenzione sociale che mi ha sempre lasciato indifferente. Considerare che la fine di un ciclo di 365 giorni porti ad un mutamento del proprio percorso esistenziale è una sciocchezza. Ciò che accade il 1 gennaio non è una novità o una serie di eventi slegati al nostro passato, ma una sequela di conseguenze dipendenti da tutti i giorni precedenti.


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