The president
Creato il 10 febbraio 2015 da Veripaccheri
The President
di Mohsen Makhmalbaf
con Misha Gomiashvili, Dachi Orvelashvili
Iran 2014
genere, drammatico
durata, 115'
Sebbene la finzione
filmica si premuri di affermare fin dal primo fotogramma che la storia narrata
da Mohsem Makhmalbaf, regista iraniano in esilio da dieci anni, è ambientata in
un paese sconosciuto, allo spettatore d'oggi verranno alla mente fin troppi luoghi
in cui essa potrebbe aver avuto luogo. "The President" narra la parabola di successo, caduta e (forse)
redenzione di uno spietato dittatore che un giorno, a seguito di un colpo di
stato, cade in disgrazia ed è costretto a fuggire assieme al nipotino dall'odio
dei suoi sudditi, divenuti ora i suoi aguzzini.
Il dittatore, chiamato "Sua Maestà" persino dai membri della
famiglia, vede riversare contro di sé l'odio con cui ha trattato il suo popolo.
Le parti si invertono: il sadismo, il cinismo e la brutalità con cui per anni
ha regnato, vengono usati contro di lui da genti esauste, incapaci ormai di
conoscere altra legge che non sia quella della vendetta e dell'odio. La ragione ha abbandonato la mente di ogni persona che egli
incontra lungo la sua fuga; i militari che prima lo proteggevano ora gli danno
la caccia, la sua famiglia lo abbandona, mentre i contadini che un tempo
tenevano appesa in casa la sua fotografia, ora ne inneggiano la morte,
speranzosi di poter riscuotere la taglia posta sulla sua testa.
Il film, girato in Georgia, spicca per una scenografia parlante, in cui il
paesaggio, roccioso e austero, amplifica le efferatezze cui il protagonista
assiste lungo la fuga: sfruttamento minorile, violenze, stupri, torture, realtà
che l'uomo tenterà di spiegare
al nipotino fingendo che tutto quello
scenario di guerra non sia altro che lo sfondo falso di una pantomima.Certo questa messinscena richiama l'intelaiatura di "La vita è
bella", con la piccola differenza che mentre in questo caso i due si
limitavano a fuggire dal male senza averlo minimamente causato, in "The
President" il dittatore è vittima e artefice della sua stessa ignobile
fine.
Mentre i primi minuti del film ritraggono la famiglia reale
nella sontuosa e scintillante reggia da cui viene presa ogni decisione
riguardante il destino di un'intera nazione, man mano che la vicenda avanza la
caduta viene enfatizzata anche da colori sempre più cupi e tetri, in sintonia
con l'ambiente petroso in cui nonno e nipote si trovano, piccoli e miserabili
come qualsiasi altro uomo in fuga dalla guerra civile.
In questo senso emblematica è la trasformazione fisica cui il protagonista
andrà soggetto, prima fiero nei suoi panni regali, poi curvo e sofferente,
simile a un qualsiasi barbone coi capelli lunghi e la barba incolta, il viso
segnato dalla sofferenza. Se inizialmente il personaggio del protagonista non
suscita in noi alcuna empatia, in un secondo momento diviene ai nostri occhi
più umano, quasi fosse un nonno qualsiasi che cerca di difendere il nipote
dagli orrori della guerra. In ogni momento della turbolenta vicenda,il presidente protegge disperatamente il bambino, forse
proiezione del suo infantilismo e dell'amore per lo status privilegiato di cui
godeva, tutelandolo dalla crudele realtà.
Nonostante questi accenni impressionistici siano sufficienti a delineare
efficacemente la psiche del protagonista, pare che lo scopo di Makhmalbaf sia
stato quello di portare lo spettatore a riflettere su un tema tanto caro alla
politica d'oggi e di ieri, se cioè la coazione e la reiterazione della violenza
ai danni del vecchio oppressore possano davvero essere le fondamenta di uno
Stato pacifico.
Puo la democrazia nascere da un gesto violento?
Dalla tragedia greca passando per Shakespeare, quello della vendetta è un tema
assai caro alla tradizione occidentale e, ahimè, attuale: la scena finale in
cui il popolo trova il dittatore è certamente memore dell'impiccagione di
Saddam Hussein. Al contrario, con
raffinatezza ed eleganza il regista è in grado di ricreare un mondo di
violenze e barbarie mantenendo sempre alta la pudicizia delle immagini, che non
descrivono volgarmente ma permettono piuttosto che sia lo spettatore ad
immaginare.
Erica Belluzzi
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