Se The Raid metteva nuovi paletti ai film di botte, lavorando sulla violenza esplicita che eruttava sopra uno strato di generi che fagocitava l'horror e una certa strutturazione videoludica, The Raid 2: Berandal lo piglia a pizze in faccia e spezza almeno tre ginocchia. Non so come Gareth Evans abbia potuto lavorare al sequel di un gioiello imprevisto e improvviso, la pressione subita dev'essere stata molta ma la straordinaria capacità di reinventarsi e di proporre un The Raid al cubo è stata ben superiore.
Delle due strade percorribili, la prima, più semplice ma di certo non più facile, consisteva nel replicare il numero uno con stessi schemi e stesse mazzate, qualcuno avrebbe sbuffato un po' all'inizio ma poi il tornado di crani fracassati avrebbe prevalso e ne saremmo tutti usciti sicuramente con minor esaltazione ma comunque con grandi applausi. Ben più tosta la seconda, a Evans sarebbe toccato cambiare una macchina schiacciasassi perfetta per proporre qualcosa di più scomodo e sostanzialmente nuovo. Il problema era: cosa cambiare del primo lavoro? Niente. Allora meglio riformulare: cosa aggiungere? E il pericolo, qui, era quello di prendere la carta vincente di un film piccolo ma rabbioso e perderla in un forse necessario arricchimento narrativo che si tramutasse però in sostanziale noia tra una mitragliata di calci e un'altra. O che succedesse una tragedia in stile Ongbak 2 e 3, con un Tony Jaa che gonfiava e complicava la trama così tanto da aver bisogno di due film per raccontarla, tra l'altro malissimo e con una dosa di noia mondiale.
Evans, da signore qual è, e con tutto il rispetto per mr Jaa, ha ovviamente scelto la seconda opzione, e ha fatto non solo le cose in grande, ha fatto le cose in grande bene. The Raid 2 dura 150 minuti secchi, quindi un sacco di minuti in più dove Iko Uwais possa fare malissimo a tutti i cattivi che a turno vogliono farlo fuori, e presenta una trama che, seppur estremamente classica nel rappresentare una scalata criminale di un giovinotto viziato ai danni del padre vecchio e troppo calmo per i suoi gusti, gode di una narrazione miracolosa, tanto che nel dispendioso minutaggio e in una complessità comunque prevedibile si rimane piacevolmente coinvolti e spesso trainati dal gran ritmo, da personaggi ben scolpiti e da un dialogo sapientemente calibrato che di certo non era così scontato aspettarsi.
Mi sembra di annoiare a tornare sempre sugli stessi discorsi, ma anche The Raid 2 è caso lampante per mostrare come una storia in fondo innocua e con molti cliché (il poliziotto infiltrato, la pace tra le famiglie criminali spezzata da una gioventù irrequieta) possa comunque risultare di spesso interesse grazie a una complessa stratificazione, una costruzione criminale solida e ramificata, attraverso quindi un racconto ricco di finezze registiche che alterano la continuità narrativa (la lunga, bellissima prima parte per motivare l'infiltrazione di Rama, che deve molto alla non-linearità tipica di Miike), e di dettagli psicologici che scavano in personalità ben conosciute ma lo fanno con mestiere e passione, scaldando personaggi che paradossalmente avrebbero funzionato anche senza questa ricerca (è il caso del killer Prakoso, depresso per la rottura con la moglie che gli impedisce di vedere il figlio, o del boss Bangun, classico padrone che ha raggiunto tutto e non ha bisogno di altro se non quiete per godere dei suoi risultati). A farla da padrone rimane comunque il gran lavoro di caratterizzazione su Uco, con un bravissimo Arifin Putra a dargli volto e ragionata pazzia: vero e proprio protagonista, perno centrale del film, che si muove attorno alle sue scelte dettate da stupida rabbia repressa e normale egoismo.
Al resto pensa Iko Uwais con il suo delizioso Rama, cupo, imbronciato, spande una tristezza sofferta ma anche tenera mentre controlla con forza disumana il distacco dalla moglie e dal figlio (altro cliché gestito però con classe sopraffina): le lunghe, sfiancanti, violentissime scene di battaglia lo vedono protagonista di decine di brutali varianti per uccidere, non passa minuto senza che spezzi una gamba, disarticoli un braccio, sfondi un cranio o peggio. Mostrando molta più tecnica e personalità che nella media dei prodotti simili, e cercando armonie, angolazioni e simmetrie di grande eleganza che poco o nulla hanno a che spartire con simili film di mazzate, la camera di Evans lo segue con movimenti calmi e controllati, piccoli piano sequenza che donano un dinamismo a tratti stordente, pugni, calci e armi di fortuna farebbero realmente male anche senza l'esagerato ma giusto spargimento di sangue, che fuoriesce abbondante da ferite causate da martelli, mazze da baseball, machete, uncini, lame e quant'altro possa uccidere in maniera cattiva e dolorosa.
E se prima, con le sue atmosfere fatiscenti, era un certo horror a mischiare le carte in tavola, adesso è l'action martellante a essere oggetto d'interesse, dal già citato poliziotto infiltrato, passando per le ovvie sparatorie e finendo con un pazzesco inseguimento in auto di un buon quarto d'ora che spazza a suon di cazzotti e sgommate qualsiasi Fast and Furious e needforspeediate varie.
Film colossale, già da rivedere come non ne avessi avuto abbastanza.