La trama (con parole mie): una squadra Swat agli ordini del sergente Jaka viene guidata da un tenente della polizia all'interno del palazzo che funge da base operativa di un pericolosissimo boss della droga, asserragliato nella fortezza urbana e protetto dai suoi uomini e dagli occupanti dello stesso edificio.
Una volta entrati e messi allo scoperto, gli uomini delle forze dell'ordine scopriranno di essere soli e allo sbaraglio, complici la corruzione del tenente e la potenza dell'organizzazione criminale: Rama, esperto di arti marziali con una moglie in procinto di partorire a casa ad attenderlo, dovrà lottare fino allo stremo per sopravvivere, tornare dalla sua famiglia e riuscire a rintracciare il fratello, divenuto uno degli uomini di fiducia del boss.
Negli ultimi tempi, in rete, è rimbalzata come un'eco impazzita la voce di entusiasmi che riguardavano un nuovo supercult dell'azione in grado di lasciare gli spettatori a bocca aperta e settare uno standard come non capitava dai tempi di Die hard o dei classici delle legnate d'autore come I tre dell'Operazione Drago.
Inutile dire che, soprattutto dopo aver letto la recensione entusiastica del buon Frank Manila, l'aspettativa in proposito in casa Ford era assolutamente alle stelle: aspettativa che non è stata per nulla tradita, e che, anzi, è risultata rispettata in un crescendo che continua ad aumentare d'intensità con il passare dei giorni dalla visione, neanche ci trovassimo di fronte ad uno di quei film d'autore in grado di colpire dritti nel profondo e tornare a galla un pezzo per volta.
Questo principalmente perchè The raid - Redemption è un film d'autore di quelli in grado di trascendere il genere che più genere non si può di appartenenza, di sfoderare scene d'azione serratissime, di violenza inaudita e clamorosamente esaltanti per il pubblico abituato ai botte movies senza dimenticare di portare avanti - tra l'altro con una sobrietà decisamente d'essai - una serie di riflessioni che toccano la famiglia, il senso di appartenenza, la ricerca di un proprio posto nel mondo, il disagio sociale di alcuni paesi governati all'interno da boss del crimine in grado di tenere in pugno le più alte sfere del governo e dei suoi organismi di controllo: una sorta di cocktail selvaggio dell'eredità di Bruce Lee mescolata a I guerrieri della notte, Distretto 13 e Nido di vespe, servito da un più che promettente Gareth Evans, che dirige e monta mantenendo altissimo il livello di adrenalina e riuscendo nell'impresa di ricordare Johnnie To nonostante il divario tecnico che separa il regista di Hong Kong dalla maggior parte dei comuni mortali.
Così, alla storia di Rama e del fratello perduto - finale perfetto, in pieno rispetto del melò che rese celebri pellicole come The killer - si mescolano la determinazione di Jaka ed il quotidiano dell'inquilino con la moglie malata, intruso in un palazzo che pare un enorme alveare popolato da tagliagole, trafficanti di droga, assassini e quanto di più selvaggio si possa pensare possa annidarsi nella giungla urbana: e al ritmo di una colonna sonora in grado di ricordarmi l'utilizzo di Battle without honor or humanity di Tomoyasu Hotei in Kill Bill l'azione assume proporzioni quasi epiche per l'intensità messa in campo da attori e stuntmen, protagonisti di alcune sequenze davvero clamorose - in particolare, ho ancora davanti agli occhi il volo di uno degli assalitori di Rama e compagni che, lanciato attraverso la tromba delle scale, si rigira e finisce di schiena contro la base del balcone al piano sottostante: pauroso solo al pensiero - e duelli incredibili - quello di Jaka opposto al pazzo braccio destro del boss, che lo stesso riesce a replicare aumentando ulteriormente l'intensità nella lotta che lo vede opposto a Rama e al fratello -.
Come se tutto questo non bastasse - e, vi assicuro, basta eccome, divenendo un circo all'interno del quale i protagonisti lottano per la propria sopravvivenza in grado di conquistare i veterani dell'action così come il pubblico non avvezzo al genere ma ugualmente trascinato dall'energia dirompente della pellicola -, il confronto tra i due fratelli, anime delle fazioni opposte, è uno tra i più interessanti giunto sul grande schermo nel passato recente, raccontato con grande profondità ed ugualmente mai eccessivo trasporto o retorica di grana grossa: quel botta e risposta sul cambio d'abito rifiutato perchè la divisa "calza a pennello" visto da entrambi i lati del confine dato da un cancello che si apre e si chiude sull'inferno del palazzo obiettivo della missione della squadra swat è già di diritto un piccolo cult, reso ancora più potente dal rinnovato legame dei futuri padre e zio e divenuto, di fatto, il simbolo di qualcosa in grado di andare ben oltre la lotta,il sangue, le morti, il concetto stesso di polizia e crimine.
Il legame tra due individui in grado di proteggere le persone che stanno loro accanto, anche se solo ed esclusivamente nel proprio mondo: ad ognuno il suo vestito, il suo destino, la sua via verso la conquista o la libertà.
Ad ognuno il suo, senza alcun bisogno di spiegare.
Il bello di essere fratelli.
Sempre, nonostante tutto.
Fino alla fine.
MrFord
"We the people fight for our existence
we don't claim to be perfect but we're free
we dream our dreams alone with no resistance
fading like the stars we wish to be
you know I didn't mean what I just said
but my God woke up on the wrong side of his bed
and it just don't matter now."
Oasis - "Little by little" -