Johnny Deep, LA NOIA!
The Rum Diary assurge ad una funzione fondamentale della vita umana, oggi un po' in disuso, insonnia cronica dilagante. No, non mette in moto il raziocinio, ma lo assopisce, cullandolo per due ore in un limbo narrativo che evoca pesantezza e palpebre cadenti. Una miscela esplosiva di Rum che sembra una camomilla stantia, il primo sbadiglio facile è segnale d'allarme, ma non tutto è così negativo come possa sembrare. Perchè The Rum Diary è un rimedio alle suddette insonnie croniche, per di più naturale e senza particolari controindicazioni, di forza pari ad un sonnifero potente. Nulla di così dirompente e di così brutto ed emotivo, soltanto una mediocrità continua, reiterata, "planare". Come una paratassi infinita, come le pecore contate e ricontate fino ad abbandonarsi al sonno profondo, in un letto lindo e pulito (come il film, riuscito tecnicamente). Tanto da rendere il "divo", "il ribelle" Hunter S. Thompson "normalizzato", quasi fosse un pensionato che scrive storie evanescenti e non vissute direttamente, lontane nello spazio e assenti dal tempo. Con Johnny Deep ormai alla frutta, dopo la macedonia caleidoscopica del padrino Burton, e un cast di supporter di nomi grossi in uno stato narcolettico. Gilliam è Gilliam, Bruce Robinson è Bruce Robinson. Genialità vs. Normalità e Thompson ad uno normale non andrebbe proprio affidato. Per principio. E ora, scusatemi, potrei continuare ancora a lungo, magari per due ore piene come il film, ma il sonno chiama e io rispondo più che volentieri...
Ronf..Zzz Ronf...Zzz.
(MODE OFF)