La trama (con parole mie): Mark O'Brien, giornalista e scrittore trentottenne colpito dalla polio a sei anni e costretto a vivere con l'ausilio di un polmone d'acciaio, decide di provare per la prima volta l'esperienza del sesso, vissuto fino a quel momento come una punizione ed una colpa a causa della sua profonda fede religiosa, che passa anche attraverso i colloqui con il confessore Padre Brendan.Per poter affrontare al meglio questa esperienza, Mark si rivolge ad una terapista professionista, Cheryl, che dovrà educarlo come fosse un bambino alla consapevolezza del proprio corpo prima di aiutarlo a scoprire le gioie del sesso: tra i due, sessione dopo sessione, nascerà un legame più profondo di quanto entrambi potessero credere, e che lascerà un segno indelebile nelle loro esistenze.
Diverse volte, ormai, è capitato che parlando di film che affrontano argomenti delicati come la disabilità tornassero a galla i miei ricordi dell'anno - o quasi - del servizio civile, prestato all'inizio del nuovo millennio e ancora oggi l'esperienza lavorativa più intensa e costruttiva che abbia avuto: ricordo che quell'ormai lontano trenta novembre del duemila mi trovai spiazzato all'idea di dover affrontare quotidianamente la gestione di ragazzi più o meno della mia età alle prese con la realtà della disabilità fisica, e che l'ultimo servizio di quel giorno, che consistette nell'andare a prendere al suo pensionato Gloria e portarla a lezione fu assolutamente sconvolgente.
Questa ragazza studiava psicologia, aveva un paio d'anni meno di me, lunghi capelli ricci, occhiali che oggi si definirebbero da hipster ed un sorriso splendido: operata per un tumore al cervello, aveva perso la capacità di camminare correttamente, ed ormai priva del senso dell'equilibrio pareva più una sorta di caricatura del tipico sbronzo del sabato sera, perennemente basculante.
Il tragitto non era lungo, ma ricordo che ebbi paura di perdermela per strada e farla cadere praticamente ad ogni passo: lei mi incoraggiò, e per passare il tempo chiacchierammo di musica, in particolare dei R.E.M., la sua band preferita.
Poi c'era Panzer, uno studente di filosofia che era anche l'unico tra gli assistiti che notavo non avere un trattamento riservato e buonista agli esami e con i voti, o che aveva amici - e amiche - in facoltà proprio perchè risultava intelligente, ironico ed interessante, e non perchè facesse in qualche modo figo e alternativo avere un compagno disabile. Panzer - che ad ogni suo passaggio sfracellava i coglioni a tutti noi obiettori imponendo interminabili giri di colloqui con professori o alla ricerca di testi sconosciuti ai più - aveva perso la vista a undici anni a causa di una malattia genetica.
Ricordo che una volta mi disse, rispetto a sua sorella maggiore che per la stessa malattia si era ritrovata cieca quando di anni ne aveva diciotto: "A me dispiace per lei, perchè considerata l'età che aveva quando è successo non è riuscita ad accettare la cosa con la mia stessa serenità".
Pazzesco, ho pensato. Questo ha due coglioni grossi come quelli di tutti gli Expendables insieme.
Ed eccoci a quello che ho pensato rispetto a The sessions: a questo film mancano quei coglioni.
Perchè se John Hawkes è fenomenale, l'ironia gestita alla grande e la materia trattata con delicatezza ed intelligenza, l'evoluzione dello script sobria e non esageratamente ruffiana - considerato il soggetto -, al termine della visione ho avuto una sensazione di un vuoto che non avevo percepito con Quasi amici e neppure con il da me piuttosto criticato Lo scafandro e la farfalla, tantomeno con un cult totale come E Johnny prese il fucile - ma in questo caso non si parla esplicitamente di disabilità - o con il meraviglioso Million dollar baby: un peccato, da un lato, perchè il personaggio di Mark O'Brien - ispirato al suo corrispettivo reale - è davvero interessante sia per l'approccio quasi alleniano al sesso e basta ed al gentil sesso, e dall'altro perchè l'idea di mostrarlo come se il trauma della malattia l'avesse in qualche modo imprigionato ai tempi del suo essere ancora sano - e dunque bambino - potevano fornire spunti meno patinati e più coraggiosi almeno nella loro rappresentazione.
Certo, da un lato un merito del lavoro di Ben Lewin è stato proprio quello di non esagerare nell'essere paraculo - ed in questi casi una certa percentuale di ruffianeria è da mettere in conto - e di riuscire comunque ad emozionare il pubblico, ma avendo avuto un precedente neppure troppo lontano come quello del già citato lavoro di Toledano e Nakache il risultato risulta comunque edulcorato, quasi ad una sonata da camera si opponesse un brano soul proprio come nella celebre sequenza con protagonista lo straripante Driss nella pellicola francese clamorosamente esclusa dagli Oscar.
Se nel complesso ho avvertito, dunque, una mancanza di attributi per un film che, pur se basato sulla poesia e sul sussurrato, pareva avere un profondo terrore di alzare un pò la voce - ed i toni -, considero riuscitissime tutte le parti dedicate ai comprimari, in particolare l'assistente di Mark, Vera, descritta in punta di piedi eppure a mani basse il charachter più sfaccettato ed interessante dell'intera pellicola.
Meglio rispetto alle aspettative che potevo avere in merito - si prevedevano bottigliate selvagge, così sulla carta - ma decisamente troppo poco per farmi ricredere come è già capitato più di una volta dall'inizio dell'anno.
MrFord
"Now, I'm gonna love you
till the heavens stop the rain
I'm gonna love you
till the stars fall from the sky for you and I." The Doors - "Touch me" -