Avete mai notato che persone più o meno vicine, non necessariamente amiche, iscritte a Facebook finiscono col parlare del social network stesso, di ciò che vi accade, come se non fosse possibile senza lo strumento stesso? Il socialnetworking si è gradatamente sostituito al dialogo in quanto tale, senza che in compenso si sia guadagnato in capacità relazionali autentiche o in profondità del dialogo.
Il film di David Fincher si regge appunto sul battage pubblicitario di un sistema che io trovo interessante e piacevole e su cui, cosa più importante, The Social Network ha contribuito ben poco a formulare un'opinione più compiuta o profonda. E io, per esempio, trovo che un film di intento più o meno storico sia sprecato e inutile, qualora non contribuisca a sollevare dubbi, a creare problematiche, a elevare il discorso a un livello più alto e urgente. Il lavoro di David Fincher è piuttosto ostaggio e debitore del suo successo al chiacchericcio - vien quasi da ridere, ai twitters - già in corso che strumento capace di offrire una visuale sulle cose.
A me interessa ben poco di chi sia la proprietà intellettuale dell'idea, quali siano le origini di Facebook nel momento in cui la destinazione stessa dello strumento non riceve nuova luce. Uno strumento è lì per quello che io ne faccio e per quello che oggi se ne fa. Il film stesso non affronta la bontà dell'idea o l'utilizzo che se ne fa, ma mette in luce come dalla goliardia universitaria si possa passare a un'idea che frutta milioni di dollari, con qualche inganno di troppo e una sfacciatissima intelligenza. The Social Network, mi pare, avrebbe potuto parlare di qualunque cosa, senza dirne ugualmente nulla. Lo stesso declino che registra negli ultimissimi tempi Facebook negli USA e in Inghilterra non può essere reinterpretato che in chiave di invecchiamento di un'idea non per forza commerciale, ma in ultima analisi consumistica.
Io, di sicuro.