Primo film di guerra di colui che è poi diventato tra i registi di riferimento del genere, un Vero Maestro. Indimenticabile la visione de "Il Grande Uno Rosso".
Tra questo ed il capolavoro citato passano 29 anni. La distanza in termini di budget è ancora più consistente, anche rapportata alla svalutazione. Qua siamo al cospetto di un film bianco e nero estremamente scarno, sia per mezzi che per ambientazione scenografica. Si parla di guerra ma di battaglie, e senza particolari eccessi, se ne vedrà una sola nel finale; per il resto piccoli combattimenti, schermaglie, e diversi dialoghi.
Anche qua l'accento è sul tormento umano di chi si trova a vivere una condizione da combattente come scontata, inevitabile. Un soldato, che ambisce a diventare pastore al ritorno in patria, dirà che è lì perché è necessario esserci, una frase che mi ha colpito. Storia sul "male di vivere", questo piccolo manipolo di soldati è estremamente isolato per quasi tutto il film. Solo la morte di un bambino toccherà nell'intimo uno dei protagonisti, il famoso sergente Zack, mentre ogni altra vittima è salutata con freddezza. Un momento su tutti: uno degli uomini salta in aria su una trappola e Zack chiede subito se la vittima indossava lo zainetto con all'interno una scatola di sigari che a lui interessava.
Intimo, cinico, con atmosfere buie e nebbiose che isolano in un microcosmo. Gli uomini sono così oppure, se vogliamo essere benevoli, lo possono facilmente diventare. Se vogliamo ancora, più socraticamente diciamo che emerge questa "natura umana" che in condizioni di pace risulta, nei più, essere latente. Molti di loro arrivano ancora caldi dal fronte della seconda guerra mondiale, come Zack, che in quel contesto è una divinità ed ha fama quasi da immortale. E' fin evidente che per lui un ritorno alla vita civile sarà pressoché impossibile, diventato com'è un "deus ex machina" da guerra.
La grande firma di Fuller, che accomuna i 2 film, è quel Silenzio Assoluto rotto solo dai rumori necessari. Lo si "sente" violento non solo nei momenti di riposo ma anche e soprattutto nei combattimenti. Possono sembrare surreali eppure secondo me sono di grande realismo, evidenziano le emotività dei protagonisti in modo netto.
Tra i miei Cult anche per motivi di contenuto (vedi commenti ai frame) che vanno valutati alla stregua dell'anno di uscita di questo film, e sotto questo aspetto siamo a livelli d'eccellenza. Nel 1951 gli Stati Uniti erano nel pieno della guerra in Corea (1950-53) e farne un film, proprio quell'anno, con anche il maccartismo in pieno fulgore, voleva dire avere attributi veramente notevoli! Ho letto che ai tempi fu tacciato in Europa di anticomunismo e robe simili. Chissà, qualcuno avrà forse fin pensato fosse un'apologia dei soldati americani, già che c'erano.
Non biasimo nessuno, 60anni fa forse anch'io avrei detto cose simili, erano altri tempi. Oggi è più facile dire che erano congetture inconsistenti. Certo, qualche piccola concessione all'eroismo dei soldati americani non era proprio evitabile, e perché evitarla poi? I soldati, che come sempre sono per la maggior parte gente del popolo, veramente andavano lì a rischiare la pelle! A me è sembrato un film estremamente anti-bellico, persino rispettoso dei coreani, trattati con dignità e in quegli anni non era cosa scontata.
Visione consigliatissima.